Tante chiacchiere

Le chiacchiere nel mondo del vino sono tante, spesso futili e inconcludenti. Nelle fiere, in internet, nei giornali, nelle riviste, spesso i discorsi sono sempre i soliti, spesso patinati, enfatizzati, lucidati ed escortizzati. Odio questo modo di comunicare vecchio e astruso. Odio le pubblicità dei vini nelle solite riviste, odio un modo di comunicare alla stregua di un qualsiasi prodotto commerciale, come una macchina per caffè, un telefonino.

Secondo me il vino non si merita questo, si merità verità, si merita schiettezza, semplicità, si merita meritocrazia. Il vino si merita opinioni dirette, eventuali apprezzamenti sul campo, nelle vigne, nel bicchiere, in compagnia, il resto è roba falsa.

I guru del vino consigliano

Gli esperti ci dicono che occorre smettere di investire in beni strumentali, vigna, cantina, ecc. e di occuparsi del commerciale.

Vale a dire: non serve più fare gli agricoltori, occorre attrezzarsi e cambiare, lasciare la famiglia, il lavoro sul trattore, in cantina, comprare una valigetta e andare in giro in Italia e nel mondo, a vendere il vino.

Non serve più investire molto nella produzione di qualità, occorre impegnarsi nella vendita. Quando si parla che in una bottiglia di vino il consumatore paga solo circa il 15% il valore del prodotto, mentre il resto, l’85% va in marketing, quest’ultima percentuale deve ulteriormente aumentare.

Non so che dire, mi sembra tutto un casino, è come se gli agricoltori diventassero solo estetisti del paesaggio, da fotografare per una cartolina da inviare chissà dove.

Questioni di certificazione

C’è un aspetto del mondo-vino sul bio-: molti produttori non sono certificati. Anche io sono stato molti anni senza certificazione, ma poi nel 2003 mi sono convertito accettando il controllo. Sostenevo che chi è bio- veramente non ha necessità di ulteriore burocrazia, che produrre bio doveva essere un qualcosa che viene da dentro e non imposto da motivi commerciali e quindi non dovevano servire certificazioni. Ottime riflessioni. Sono addiritturo finito nel 1997 a tutta pagina sul settimanale “Venerdì di Repubblica” , come uno dei pochi bio- in Chianti…

Poi mi sono accorto che chi molto seriamente è bio controllato e pagante una somma per questo, cominciava a guardarmi storto; allora qualche dubbio mi è venuto, domandandomi perchè mi guardasse storto. Sono arrivato alla conclusione che a parte gli utili contributi economici per chi si certifica, ho ritenuto che non si può continuare all’infinito a sostenere ai quattro venti di essere bio- senza una prova tangibile per il consumatore (anche se si può discutere del metodo: noi dobbiamo pagare il controllore…), ma sopratutto per motivi di correttezza nei confronti di chi si sottopone al controllo.

La questione non è di semplice soluzione, e il dibattito è aperto. Amici produttori che innegabilmente praticano il bio- mi chiedono un parere e io rispondo così, semplicemente: non si può raccontare all’infinito di essere bio- senza certificazione, arriva un momento però in cui bisogna farlo.

Unità nel territorio

Credo che non ci sia scampo: se i piccoli produttori vogliono andare avanti devono unirsi nei territori per proporre, appunto, i vini di territorio. Solo andando verso proposte unitarie, che possono identificare facilmente il territorio nelle sue sfaccettature dei vari produttori, grandi o piccoli che siano ma con azioni comuni, come la partecipazione in stand collettivi al Vinitaly o altre manifestazioni del genere, ci può essere quel valore aggiunto e interesse. Procedere in ordine sparso è dispendioso e dispersivo.

Ad esempio. immaginiamo al Vinitaly 2012 uno Stand dove ci sono solo i vini dei produttori di Radda in Chianti (il Consorzio Chianti Classico pare che non lo può fare), pensate che non abbia successo? Inoltre i costi per la partecipazione sarebbero sicuramente inferiori e molto concorrenziali, mi dispiace dirlo, in confronto allo stand del Consorzio…

Assaggiare i vini di Radda, o non so, di Lamole, di san Casciano o di Greve in Chianti, non sarebbe più interessante? Io penso di si.

 

Vinitaly 2011: un flop la degustazione collettiva del Chianti Classico ?

 

La degustazione collettiva, consortile, presso lo stand del Consorzio Chianti Classico al Vinitaly, mi pare che quest’anno non abbia raggiunto la sufficienza. Prima considerazione: non si riusciva a capire l’esistenza di questa possibilità, l’evento non era segnalato a dovere, tutto si svolgeva in sordina al primo piano. Seconda considerazione: ho avuto solo cinque degustatori a fronte di una spesa di euro 276,00, ho praticamente pagato (oltre a 24 bottiglie messe a disposizione) ben 55 euro a degustazione! Sarebbe interessante sapere le performance degli altri… (mi sono già arrivate all’orecchio la voglia di rinunciare per il prossimo anno). Terza considerazione: è arrivata in questi giorni una circolare del Consorzio in cui si chiede una opzione di partecipazione per uno stand autonomo all’interno del Consorzio al Vinitaly 2012, in previsione di un allargamento del medesimo (a euro 3250 + iva). Alla luce di queste considerazioni, mi sembra che i segnali siano quelli di non incentivare questo tipo di degustazioni dove tutti possono degustare in pace, valutare senza condizionamenti e democraticamente i vini del Chianti Classico, ma di incentivare fortemente la moltiplicazione in stand autonomi, pur all’interno dello stand del Consorzio, con tutte le conseguenze economiche immaginabili…

 

L’appagamento

 

Ho letto un interessante intervento di un signore che si chiama Mario Rossi su vinoalvino. Sostiene che molti proprietari di case vinicole hanno una “radicata vanità” e che è una “categoria sempre in perenne bilico tra l’essere e l’avere”. Inoltre, questa categoria ricerca “grandi appagamenti e altre intense soddisfazioni”.

Vero, verissimo. Non tutti, naturalmente. Ma molti di essi incarnano una visione della vita che si basa sulle apparenze, sulla vanità, piace essere primi attori. La partecipazione a eventi mondani, che ormai si moltiplicano nel mondo del vino non solo italiano ma internazionale, non si basa quindi su un serio disegno di marketing, per tentar di vendere il vino, ma piuttosto ad un impegno in cui il proprio “io” viene appagato. Questo lo hanno capito in molti e quindi ecco che si crea il business per “l’appagamento del proprietario vinicolo”.

 

Istruzioni per l’uso

Siccome sento che si vendono bottiglie di vino Chianti Classico a 2,5 euro oppure si cercano bottiglie di vino a meno di 1 euro, queste le istruzioni per tutti i produttori per vendere a questi prezzi, con profitto:

– far lavorare operai a nero, possibilmente clandestini offrendo paghe da fame

– dichiarare produzioni fittizie, per poi caricare vino comprato a nero

– dichiarare “prodotto all’origine”, comprando vino sottocosto (tanto fino al 49% è lecito…)

– dare il diserbante

– non pagare i fornitori (se no si abituano male)

– non pagare ditte per lo smaltimento dei rifiuti (e che siamo scemi?), nè medici competenti del lavoro (tanto chi lavora son tutti clandestini…), nè LAS, nè LAA, ecc. Se poi si trova un bravo ragioniere, non si paga neppure l’Iva: si và a credito!

– chiedere il contributo pubblico “tipo PSR” per l’incentivo ai sistemi di qualità. (E con un pò di buona volontà se ne trovano anche altri).

– Non avere figli, che quelle son tutte spese in più.

Ecco fatto, facile no?

 

Il Vinitaly è ottimista

Andando sul sito del Vinitaly, il comunicato stampa ufficiale non lascia dubbi:

il vino italiano è primo nel’export agroalimentare italiano, performance di + 59,6% export in Russia, + 28,6% in Canada, + 12,5 in Svizzera e dulcis in fundus la Cina +109 %. Toni rassicuranti, toni quasi entusiastici.

Speriamo bene, qualche dubbio ce l’ho per i vini Toscani, ma speriamo bene. Vedremo se il mercato riprende… non vorrei che sia solo un incremento per troppo pochi.

Questione di prezzo

Quando si offre un euro a bottiglia di vino, quando il prezzo del vino sfuso non vale nulla, quando i prezzi di marketing, di burocrazia e di ricarico rappresentano oltre l’80/90% del costo finale, quando in una situazione così il produttore tenta di sopravvivere questi è destinato a soccombere.

Tanti discorsi naturalistici, di vigna, di personalità del vignaiolo… ma poi se la speculazione ha il sopravvento, che fare per resistere? Sciopero. Sciopero. Sciopero. Bisognerebbe non produrre, fermarsi un po e riflettere, insieme, cosa fare.

 

Gli umili giovani

  Tornando dalla due giorni del Lido di Camaiore “Terre di Toscana”, la riflessione corre su quelle piccole personcine in divisa, quindicenni, della seconda classe  della scuola alberghiera di Viareggio che continuamente, assiduamente  e con passione svuotavano le sputachiere ai tavoli dei produttori. Poi, portavano il pane, facevano piccole pulizie, portavano l’acqua. Sei ragazzini e ragazzine, scrupolosamente professionali, si davano daffare tra appassionati, giornalisti e operatori molto più anziani di loro per lo più nell’indifferenza generale. Tutto ruotava naturalmente intorno ai vini, alle storie, ai vignaioli, alle aziende, ai territori, ma senza di loro queste attenzioni non potevano esserci. Con grande piacere li ho subito notati e devo dire che la mia mente è andata su riflessioni del tipo: “allora c’è speranza”, “ci sono ancora giovani italiani che fin da ragazzi si sbattono”, “il futuro è nelle loro mani”…