Nuove tendenze per bere il buon vino

Non parlo dei vini commerciali, parlo di quei numerosi vini che hanno qualità superiori e che per questo motivo costano un po di più. La crisi economica, insieme a un proibizionismo sempre più accentuato anche nel nostro Paese, sta modificando lentamente le forme del consumo ma sopratutto il modo della conoscenza di questi vini.

Si stanno affermando in tutto il mondo, e anche in Italia, associazioni e Club dove una cerchia di soci e simpatizzanti si ritrovano a cena, in una azienda vinicola, o a casa di qualcuno, spesso organizzati in programmi fitti fitti per scambi di bottiglie o per degustazioni alla cieca, o per degustazioni a tema.

Nel Nord europa questi club annoverano migliaia di membri, addirittura lo Stato mette a disposizione gratuita strutture dedicate, in Italia il numero è indubbiamente ridotto, ma significativo.

Davide Bonucci, presidente dell’enoclub di Siena, rappresenta in Toscana un’avanguardia di questa tendenza. In continuo movimento tra vignaioli, cene, bottiglie di ogni genere e annata, con la sua disinteressata passione, e con una comunicazione attenta e innovativa annovera nel club centinaia di appassionati di tutta Italia. Le iniziative, fin troppo numerose, lo stanno portando verso una conoscenza così profonda di questo mondo, che tanti giornalisti del settore più blasonati gli fanno un baffo…

 

24 pensieri riguardo “Nuove tendenze per bere il buon vino”

  1. Si , andrà a finire che da compagno di mensa diventerà un uso "carbonaro ".

    Lo sai cosa , mi sto accorgendo anche io che bevo molto meno anche durante la mensa . Non è per proibizionismo o per maniera . E’ che troppi vini con la loro importanza , complessità , alcolicità non si fanno bere ( con tranquillità ) . Per non parlare poi dei famigerati supertuscan .
    Bevibilità secondo me una strada da seguire , senza farsi tante seghe

  2. Ad essere oggettivi, i vini più strutturati possono essere buoni come quelli meno strutturati. Se si comincia ad avere preconcetti, ci si toglie il gusto di scegliere. Io credo che scegliere è possibile. Anch’ io produco vini più strutturati (come il Chianti Classico Doccio a Matteo), ma anche vini più bevibili, nel senso che se ne può bere qualche secchiata (come il Rosso di Caparsa, il Bianco di Caparsino e il Chianti Classico Caparsino di alcune annate più fresche, come il 2005…).
    🙂

  3. ..c’è ”l’inversione di tendenza”..ma quando un vino è complesso ma fatto bene e solo in certe annate soprattutto..perchè non apprezzarlo nel modo e momento giusto??..se poi deve essere un vino ”solo fatto in cantina”..ed in tutte le annate ”lo tiri fuori”..sempre simile (o uguale)..allora ..ben venga ”reazione”.. anche nel chianti classico,e credo nel chianti,hanno vietato il poter fare vini più freschi e ”aggraziati”,togliendo la possibilità di metterci anche la tanto”famigerata” (per ”i comandanti”) malvasia bianca del chianti..

  4. In effetti la possibilità della presenza di vitigni bianchi, già indicati nell’antica ricetta di Bettino Ricasoli come utili per dare una maggiore freschezza al vino Chianti Classico sarebbe una cosa utilissima. Sopratutto oggi, dove i vini troppo alcolici e ciccioni per le basse rese e per i nuovi impianti, avrebbe senso.
    Penso che quest’inverno si potrebbe fare una campagna a favore della proposta (il Presidente Pallanti categoricamente non piace questa possibilità).
    Da aggiungere che ormai i vitigni bianchi, Trebbiano e Malvasia, nel territorio sono stati quasi del tutto eliminati e che molti anni fà questi vitigni erano stati usati in percentuali troppo elevata (si sà, si ammette un 10% e ne veniva usato 40%, si ammette un 5% e ne veniva usata 20%); oggi però con i controlli seri come ci sono, non vedo lo scandalo ammettere quel 3% sopratutto per alleviare i problemi di vini che hanno perso una certa bevibilità, come accennato prima, ma anche a livello di comunicazione la proposta sarebbe veramente vincente per recuperare quell’immagine di storia, cultura e tipicità che negli ultimi anni il vino Chianti Classico ha un po perso. Che ne pensi?

  5. ..ha perso..ha perso..e aggiungo ”basta con queste chiusure”..un presidente deve capirlo ! resta il fatto se venisse accolta questa piccola modifica ..passerà un bel po’ di anni..comunque rimango ”scettico”..c’è tanta ”chiusura e grettezza”.. chissà cosa temono (visto che lo avevano messo al bando!) ..se è per i ”loro” interessi nessuno vuole danneggiarli ..basterebbe rendere obbligatoria una menzione che dica in etichetta l’aggiunta di uva malvasia e/o trebbiano (autoctoni).. poi al chiantigiano la ”giusta scelta”!!

  6. Sulle uve bianche siamo in tanti ad essere d’accordo. Pian piano questo ripensamento dovrebbe portare a qualcosa di concreto in bottiglia… Dando per scontato il fatto che alcune aziende hanno eliminato completamente le uve bianche dalle vigne e al momento non credo che intendano ripiantarle.

  7. Paolo, permettimi un po di ironia, quando dici: " ; oggi però con i controlli seri come ci sono, " sono seri quando ci fa comodo e ci rompono su aspetti cartacei, perchè si è detto troppo spesso, qui, che mancavano.

    C’è un problema maniacale, di voler regolamentare troppo, senza poi poter controllare… basterebbe lasciare un piccolo spazio di 3, 5% sui bianchi, denaturerebbe meno la tipicità territoriale di un 20% merlot o cabernet sauvignon.
    Ma credo anche che la tipicità territoriale sia solo un gargarismo commerciale, ognuno di noi trova i suoi "fan" pronti a diffendere la "nostra tipicità"…

    Personalemente sono un patito del sangiovese, e mi piace anche canaiolo e ciliegiolo per i vini più giovani, non credo nemeno che la ricetta del barone, sia la bibbia, 15% di bianchi come viti, che diventavano 25 – 30 come uva prodotta, era probabilmente una buona ricetta per vini da bere giovani, il mercato cambia, sopratutto il modo di bere. Quello che mi ha convinto 31 anni fa, di togliere i bianchi, dal mio chianti classico, fu il regalo per pasqua di un vicino mezzadro di più di 70 anni, una bottiglia che aveva 15 anni, quando me la dette mi disse, quello l’ho fatto per me, solo sangiovese….. incontri rari!

  8. Sono dell’idea che quando si provvede a ristrutturare un’edificio storico, ed un disciplinare di produzione in qualche modo metaforicamente lo è, si debba necessariamente lasciare una traccia storica di quello che è stato, altrimenti il lavoro rimane in qualche modo ingiustamente impoverito e falsato: per questo motivo considero un’errore clamoroso aver rimosso ogni riminiscenza di un disciplinare storico. Questo a prescindere da ogni valutazione tecnica in merito.
    Detto questo ci potrebbero pure stare anche delle valtazioni tecniche ! Oggi sono allo studio fenomeni di co-pigmentazione per cui l’uso di uve bianche in un vino rosso potrebbero avere delle influenze positive sulla stabilità del colore, d’altra parte i preparati a base di tannino proanticianidinico, che sono regolarmente in vendita, sono estratti proprio dalle buccie dell’uva bianca e hanno proprio questa funzione. Ci potrebbero anche essere altri vantaggi dall’uso dell’uva bianca specialmente se questa hanno delle caratteristiche aromatiche: nel Rodano tradizionalmente l’uso di viognier con la Syrah da dei vini davvero intriganti, perchè non consentire la malvasia bianca nel Chianti, per le stesse ragioni ?
    Va detto, a onor del vero, che il Trebbiano,a differenza della Malvasia, non era previsto nella ricetta originale ricasoliana ed è stato introdotto in tempi più recenti per mettere a disposizione un "riempitivo"ossia un’uva dalla produzione elevatissima con lo scopo di aumentare a dismisura la produttività ed è stato quello che ha sputtanato una pratica invece interessante.
    Capisco, che con tutti i problemi che affliggono la nostra denominazione quello di reintrodurre le uve bianche è una cosa del tutto marginale, ma l’errore più grosso torno a ripetere è stato quello di non aver previsto di voler lasciare una traccia storica.Ciao.

  9. Antoine, a mio avviso il problema dei controlli del Chianti Classico è stato largamente affrontato e superato: sono state controllate tutte le superfici…
    altra cosa sono i controlli dei vigneti a IGT, lì non esistono controlli di nessun genere e nessuno vuol cominciare un discorso serio in tal senso!
    Per la seconda parte del tuo intervento, vorrei precisare che la proposta di poter usare circa il 3% di Malvasia Bianca (anch’io non sono favorevole al Terebbiano) non sarebbe obbligatorio, ma senz’altro facoltativo; come è facoltativo poter usare, oggi, il 20% di Merlot con l’80% di Sangiovese…

  10. Ho l’impressione che si dice le stesse cose con sfumature diverse, e influenzate dai gusti personali.

    Il problema è che dovevamo muoversi quando fu cambiato il disciplinare…. ma forse siamo troppo individualisti, o non ci si sente parte di un gruppo che la pensa nello stesso modo, e di conseguenza non si agisce al momento giusto….
    ??

  11. ..io non ricordo quel momento esatto…ma immagino quel giorno in assemblea ..i ”loro” con schede ”piene di voti e non meno di ricche deleghe” a dirigere un assemblea il cui esito era già deciso ..per togliere di mezzo ”un punto di storicità” e da li in poi anche quelle vecchie viti di malvasia e di trebbiano.. ”rosa”…qualcuno dopo mi ha detto..”Mario non ti preoccupare ..farai/si farà .. più vinsanto” ! (no comment!) con quelle schede hanno sancito e quindi cancellato quello che da tanti anni facevano..”la corsa all’oro era iniziata!! Quindi x riflettere su quello detto da Antoine sì è vero che siamo individualisti con tante sfumature diverse..ma x decisioni così di carattere collettivo esiste un organo che deve rappresentare ogni individualità e saper al meglio porre le loro questioni,elaborarle ed esaltarle in una logica collettiva …se non ci riescono.. ecco ,forse logico sarebbe che, anche da questo blog ”chiantigiano’,’ e dai suoi lettori/partecipanti partisse qualcosa di più concreto .Era già successo qualcosa a febbraio,non da questo blog, ma solo informati,.. poi ,Paolo ,come è andata ”a finire” dopo quella riunione ?

  12. Per dire la verità dopo la questione dei "dissidenti" (?) in occasione della Chianti Classico Collection, ci sono state addirittura delle convocazioni ufficiali, che in qualche modo hanno e stanno legittimando un dibattito che un gruppo di Soci tenta di affrontare col Consorzio. Certo di strada ne andrà fatta, sopratutto perchè il tempo a disposizione dei "piccoli" è mediamente inferiore di un "grande" poichè si deve dedicare tutte le energie all’azienda se si vuol sopravvivere. Ma un dato di fatto certo sta accadendo: all’ultima assemblea ho ricevuto (ma perchè proprio io?) molte deleghe, tanto da rappresentare oltre 14.000 hl di vino Chianti Classico (il 5% di tutta la produzione) e questo sta a significare che molti Soci vedrebbero di buon occhio le novità e le nuove persone. Sarebbe auspicabile quindi portare il prossimo anno alle elezioni persone "nuove" che si impegnano a partecipare in un CdA da troppi anni stretto da troppe poche candidature (negli ultimi anni il numero delle candidature al CdA sono state sempre pari al numero degli eletti).

  13. …RESTA IL FATTO CHI HA PIU’ HL …HA PIU’ VOTI…. E QUINDI COMANDA .. (scusate se ho deviato l’argomento)….comunque PAOLO FOR PRESIDENT !!! 🙂

  14. e di fatto Mario, questo è il punto che a me resterà sempre di traverso alla "gola democratica", dove quello che conta non sono le persone ma il loro capitale!
    Scusate devio anchio, però è legato alla possibilità di sentire che possiamo fare qualcosa alle assemblee. Perchè non ci sono dubbi che è più facile mettersi d’accordo in 3 "grossi" che in 70 "piccini", ma forse 70 piccini potrebbero essere più intelligenti e creativi di 3 grossi ;o) sogno un po!

  15. giusto Antoine, se 70 piccini si mettono d’accordo hanno …. la maggioranza, ovviamente SE si mettono d’accordo, ma sono fiducioso: I tempi lentamente stanno maturando. Speriamo un giorno di vedere, dopo una"primavera araba", fatte le dovute rispettose differenze, anche una "primavera chiantigiana"; un movimento che parte dal basso, grazie soprattutto alla circolazione di idee via web che riesce a portare una ventata di vitalità ad un comparto che sta asfissiando.
    E aggiungo grazie anche a personaggi come Davide Bonucci che rappresentano un’altro tassello ed un’altra figura figura: l’appassionato davvero "informato dei fatti". Una figura in qualche modo scomoda per i giornalisti ma anche, se mi posso permettere anche una figura che in qualche modo con cui il produttore dovrebbe forse muoversi con circospezione. Perchè dico questo ? Perchè Bonucci mette in un calderone unico passione per certi vini che lo conquistano (e ne parla , ne scrive, insomma li promove) e amicizia per i produttori: non si potrebbe creare così un conflitto tra le due cose ? Questo lo dico senza malizia e con la massima stima per Davide (e Paolo).
    Sarà che i vini di Paolo mi sono sempre piaciuti e c’è stata una certa amicizia con Paolo, ma dopo qualche anno di collaborazione come enologo, soprattutto per la cura dell’assemblaggio dei vini, mi sono reso conto che le cose erano inconciliabili.O il vino, o l’amicizia. Alla fine ho scelto l’amicizia. Anche se forse questo non è stato capita, ma forse mi sbaglio.Ciao.

  16. Interessante questo argomento che sollevi sul pericolo del connubio tra amicizia e vino, su Davide Bonucci. Aspettando una risposta al riguardo di Davide, qualche considerazione tento di farla. Le qualità organolettiche di un vino esistono eccome, ma il valore aggiunto che può possedere il medesimo vino per le storie, gli stili di vita, le amicizie, fanno la differenza tra un vino artigianale e un vino industriale. L’approccio di Davide mi sembra orientato in questi termini, oltretutto non prende soldi dagli "amici" produttori. Il pensiero mi si sposta poi verso quei comunicatori che a pagamento si esibiscono in lodi e vezzeggiamenti, che coprono una anonimità di relazioni, che invece ritengo essenziali per un approccio al vino più "umano". 🙂

  17. La questione del conflitto amicizia-opinioni esiste. Ma è palese, lo dichiaro sempre e apertamente. E non faccio classifiche, esprimo solo i miei gusti personali. Come dico sempre, difficilmente potrei essere amico di un produttore che fa un vino che non mi piace…
    Non ho obblighi morali, dato che non sono giornalista. E nemmeno "blogger" in senso proprio, se non incidentalmente. Gestisco la nostra associazione, dove le idee faziose esistono di base. Si promuove un certo modo di fare vino, di fare sangiovese, e non un altro. Lo promuovo personalmente senza aiuti o aiutini, quindi sono libero di decidere di fare come meglio credo. Alla fine il mio modo di ragionare è talmente "fazioso" da risultare condivisibile, sovrapponibile a quello di molti critici professionisti e non.
    Senza dimenticare che anche chi si ammanta di un’aura di oggettività sta in realtà esponendo un punto di vista, condizionabile da amicizie, conoscenze e rapporti commerciali. L’oggettività non esiste. Esiste però il tentativo di far credere che certi giudizi lo siano, soprattutto che lo siano stati (le guide del vino erano la Bibbia, un tempo). Sconfessati dai fatti e dai cambi dei gusti del pubblico.
    Se si vuole ragionare brevemente sulle figure del giornalista e del blogger (categoria in cui, alla larga, posso essere ascritto), posso dire che il ruolo del giornalista enogastronomico PURO al di sopra di ogni sospetto non esiste e non è mai esistito, probabilmente. E che il ruolo del blogger non è suppletivo ma integrativo di quello del giornalista, i bloggers tutti assieme aggiungono una galassia di punti di vista (faziosi, per definizione) capaci di generare un quadro ampio, particolareggiato e che copre ogni luogo, ogni personaggio, ogni punto di vista.
    La figura del giornalista pro è in un momento di crisi che durerà ancora a lungo. Molti sono già diventati blogger o stanno per farlo, cercando di mantenere un’attività professionale con collaborazioni, consulenze, sponsorizzazoni, etc (alla faccia dell’oggettività!). Purtroppo alcuni professionali si mascherano da blogger ma in realtà non lo sono, avendo molti e variegati interessi che li constringono a comprimre la propria libertà di opinione entro ambiti molto controllati, ristretti, a volte meschini.
    Il blogger puro è essenzialmente un cittadino libero, che parla in quanto tale e senza obblighi di sembrare oggettivo. Essenzialmente si esprime e condivide tutto in tempo reale, prestandosi a scambi di opinione, possibilmente senza censura (se non ha scheletri nel’armadio).

  18. Caro Davide, ti ringrazio per la risposta. Ad onor del vero dopo aver scritto il mio commento d’impulso, mi sono domandato se poi quello che ho scritto era opportuno. Sono fatto così, tra i miei difetti senz’altro c’è la eccessiva sincerità oltre all’impulsività.Ormai ho lanciato il sasso e quindi continuo a porre dei quesiti.
    Mi domando se si tratta di Amicizia davvero se la concedi solo ad un produttore che fa vini che ti piacciono ? E se un giorno non ti piacessero più ? Glielo diresti ? E il produttore, non ha interessi a "coltivare" una siffatta "amicizia" ? Il mio sospetto è che potrebbero nascere dei rapporti subdolamente ipocriti, molto più insidiosi dei banali conflitti d’interesse dei giornalisti e mi permetto di dire questo perchè considero l’Amicizia qualcosa di sacro e apprezzo anche le tue inizialtive. Ma devo capire.
    Sono d’accordo con te che il giudizio oggettivo non esiste: un punto di vista implica la soggettività. Certe volte poi mi sembra che scrivere sui blog sia un po’ come interrogare il proprio inconscio o forse si comunica con una sorta di inconscio collettivo come direbbe Jung…
    Saluti

  19. gentilissimo Michele..”.anche viva la barbera ed il cabernet x i fondivalle”..io vado (come tanti altri) … a far x forza tanto vinsanto e tanto bianco x lo sfuso..di più non posso!! ”(grazie presidente”!)

  20. …bello ..il nome..”PRIMAVERA CHIANTIGIANA”..sa di freschezza.. (”attento” Paolo…se ci leggono ”ti arriva un’altra lettera di convocazione..”.. 🙂

  21. @ Cristiano, quello che dici è tutto vero. Sono rischi che esistono, rapporti che implicano rapporti provilegiati, l’amicizia è solo uno dei tanti aspetti. In ambito comunicativo, avere questo tipo di rapporti consente di diventare megafono dei produttori, cosa che è successa e succede. Questo è l’aspetto positivo. Sono rapporti delicati, vanno saputi gestire con sensibilità e passione, quello è l’importante. E non bisogna essere permalosi, da entrambe le parti. Parlo per me, ma penso che valga per tanti appassionati: cerco di essere onesto nei giudizi, ma parto sempre dal presupposto che il mio giudizio può essere di parte. Esattamente come qualcunque altro operatore con velleità critiche. La cieca non sopprime il giudizio di parte, dato che un buon assaggiatore sa riconoscere anche alla cieca quello che deve riconoscere. Senza contare le proprie preferenze riguardo colore-naso-palato, alla cieca finiscono per contare in maniera decisiva.
    E anche vero quello che dici riguardo all’esprimersi in piazza. Quando si scrive un’opinione in un blog si fa in realtà una seduta psicoanalitica collettiva. Per questo ha grande valore: democratizza le opinioni. Il commento "autorevole" viene frullato insieme a giudizi insignificanti e il tutto viene continuamente sottoposto al vaglio del lettore. Lettore che a sua volta diventa opinionista, nel momento in cui decide di entrare in piazza e non limitarsi al ruolo passivo di osservatore silenzioso. Mi sembra tutto molto bello, un’evoluzione rispetto alla carta stampata. Il dinamico che ha preso a calco lo statico, sostituendosi quasi completamente.
    Per parte mia, cerco di smontare dei "miti precostituiti", sfruttando la mia relativa libertà espressiva. Essendomi tenuto cane sciolto (si potrebbe anche dire, essendo rimasto un "povero bischero"), mi posso ancora permettere di dire "Il re è nudo". Una libertà che non è consentita agli operatori professionali (particolarmente se di lungo corso), troppo implicati in interessi di bottega con i miti da smontare. Pur essendo essenzialmente diplomatico, posso permettermi il lusso di non esserlo, se lo reputo importante. La parola chiave è certamemte LIBERTA’. In rete di cerca libertà, si esprime libertà. Se la si cerca in rete è perchè nella vita reale è stata troppo compressa e internet è il media dove riusciamo a trovarne ancora in quantità sufficiente.

  22. Mi sembra che un giudizio sui sapori non può per essenza essere oggettivo, certo può essere costruita una scala di confronto, tecnicamente utile. Molto utilizzata e studiata per il caffé e il cacao ancora più che per il vino (probabilmente perchè la concentrazione degli acquirenti di questi due prodotii base è concentrata in pocche mani).

    Ma non vedo come un problema maggiore la soggetività, in quanto, e questo l’ho già sentito da più consumatori, un appassionato conosce i gusti dei vari "guru" ci sono gli parkeristi, gli merumisti, gli gamberisti, i maronisti…. etc e seguono quello che dice il loro guru preferito.
    Qualche "guru" lo diventa anche contro la propria volontà esprime giustamente la sua valutazione espicitamente di parte, e c’è chi poi lo segue ciecamente… Io vedo due problemi, problemi tra virgolette, il primo è dalla parte del consumatore che "non osa" un scelta gustativa personale, l’altro è la personalità di alcuni, che hanno acquisito potere decisionale sugli acquisti dei consumatori, e lo usano come dimostrazione dell’universalità del loro gusto.
    Ma sono tutti e due aspetti umani, che non hanno soluzioni, o la soluzione è solo conoscenza e va bene cosi.

    In questo senso la rete sicuramente oltre a portare oppinioni varie e giudizi di più consumatori oltre che produttori, porta sicuramente un equilibrio molto più interessante che le guide. Forse alle guide (giornalisti di settore) rimane per ora una più esaustiva esposizione pubblica e panoramica della produzione.

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