Un vino da vecchi: il Chianti Classico

 

Una delle ragioni per cui il Vino Chianti Classico batte la fiacca sul mercato italiano, è quella di apparire e rappresentare un mondo stantio e “vecchio” per vecchi.

Addirittura Intravino, con Antonio Tomacelli in un suo recente post, afferma “Non impallinatemi, non sto dicendo che sia un vino da vecchi ma, insomma, ci siamo quasi.”

Cercando di essere obbiettivi un po’ di verità c’è per due motivi: il primo abbastanza intuibile, il prezzo medio relativamente alto che scoraggia i giovani all’acquisto, il secondo è la tipologia, che impegna il consumatore alla ricerca dell’abbinamento con pietanze appropriate, non sempre facili e realizzabili per motivi di spazio, tempo, ecc..

E’ dunque un vino difficile di questi tempi, per cui si finisce per acquistare vini più facili per tutte le occasioni (e non è detto più economico).

La ricetta per risolvere il problema è il nostro territorio. I Monti del Chianti riservano esclusive bellezze, ricordano sempre il piacere della vita, l’armonia della Natura, dei vigneti, la pace. Visitare il Chianti è un sogno per molti e chiunque è già stato in questo territorio ha mangiato bene, ha dormito bene, ha dimenticato per un attimo il caos delle metropoli.

Allora perché non cercare d’invogliare di rivivere quei momenti con l’acquisto di una buona bottiglia di vino Chianti Classico, comunicando il territorio, di ciò che hanno visto e provato, NEL vino? Le Menzioni Comunali e l’inizio di una zonazione unica in Italia, andrebbe in questa direzione.

18 pensieri riguardo “Un vino da vecchi: il Chianti Classico”

  1. eeeeehhhhh? cos’avete detto? Da vecchi? il Chianti Classico? beh! Sarei vecchia..allora. in particolare mi piace il Chianti Classico di Caparsino….hurrumph! (scusate )> un "frog in the throat"< volevo dire hurray! evviva! …scusate di nuovo devo andare a fare il mio pisolino serale—-

  2. Il territorio del CC è universalmente riconosciuto come unico. Bene. Se poi il vino non piace proprio a tutti in fondo chi se ne frega, è un vino appunto, classico, per definizione, che comunque negli anni si è pur continuamente evoluto nello stile, seppur lentamente.
    Produciamo circa 250.000 Hl di vino, una goccia nel mondo del vino.Bordeaux per dire produce 5 millioni di Hl giusto per fare un paragone,il solo comune di St.Emilion da sola produce più di noi. Potremmo cercare di vendere tutta la nostra produzione anche solo rimanendo in una nicchia del mercato, che è quello che si dovrebbe fare.Non credo ci sia la necessità di compiacere le masse.
    Se poi volessimo rincorrere il mercato bisognerebbe sviluppare un "vino di ricaduta": un IGT o DOC tipo "terre del Chianti Classico". Lì si potrebbe dare libero sfogo alla creatività enologica accoppiata a marketing aggressivo.Mi pare piuttosto improponibile però come proposta visto il clima generale…
    Ma siamo proprio sicuri che questa benedetta zonazione vada a risolvere i problemi di base della denominazione ? O piutttosto ad esasperarli.
    Ciao

  3. Per me uno dei nodi è che il CC è "sfuocato", soffre di crisi di identità,non è comunicabile con chiarezza perchè è troppo molteplice. La zonazione lo mette a fuoco, permette di comunicarne la molteplicità come valore invece che come problema. Paradossalmente trovo che molti vini CC oggi rispondono bene a quello che tanti consumatori anche giovani cercano. Il lavoro da fare è di comunicare questa diversità con intelligenza. Il vino di ricaduta ce l’abbiamo già: è il Chianti Classico. Quello che ci manca e la denominazione da cui ricadere… Abbiamo perso 20 anni non comunicando cosa è davvero il CC e perdendo il treno della valorizzazione dell’eleganza,bevibilità e piacevolezza di molti dei nostri vini, non perdiamo altro tempo. Siamo nella zona dove il Sangiovese abbinato a varietà complementari tradizionali che nessun altro ha esprime note uniche e sfaccettature infinite. Abbiamo un gioiello, è ora di valorizzarlo.

  4. Belle parole,condivisibili genericamente, ma nei fatti riuscirà davvero a dare benefici a tutti la cosidetta zonazione ? Ho dei dubbi. Intanto nonostante i miei sforzi non sono riuscito a capire come il CC con Menzione Comunale sarebbe distinguibile dal CC generico.
    Non sarà che qui si sta cercando di carpire la buona fede di alcuni di noi ? Sto cominciando a pensarlo seriamente.

  5. Scusate vorrei fare un po di ordine. Sopratutto rivolgendomi a Cristiano. Penso che la menzione comunale, in etichetta ben evidente accanto alla DOCG Chianti Classico di San Casciano Val di Pesa, o Radda, o Castellina, può essere un valore aggiunto facile da ottenere e applicare. Per chi lo vuol fare e se ha i diritti. Se poi son fiori, fioriranno. Almeno sarebbe un tentativo di valorizzazione dei vini partendo dal territorio (non il contrario!) e, aspetto non minore, una comunicazione più precisa e efficace in questo periodo così globalizzato.

  6. E quindi tu Paolo in cambio della possibilità di scrivere un po’ più grande in etichetta Radda in Chianti, che già scrivi, saresti disposto a concedere a Coli (ET SIMILIA) l’acquisto, l’imbottigliamento e la commercializzazione di QUALUNQUE Menzione Comunale o sottocomunale del Chianti Classico ??? E’ PAZZESCO !!
    Evidentemente ci deve essere qualcosa che mi sfugge….illuminatemi che non capisco.

  7. Cristiano, perchè dobbiamo discriminare il viticultore impedendogli di valorizzare il prodotto all’origine? Se poi il vino di un certo territorio viene imbottigliato da altri questo è un riconoscimento per il territorio ed una valorizzazione dell’origine. Oggi una parte considerevole dei vigneti sono di proprietà di grandi gruppi; limitare l’uso delle sottodenominazioni solo ai vini "interamente prodotti all’origine" non li esclude dal gioco. Eslude invece la possibilità per un viticultore di vendere le uve o un vino sfuso di qualità ad un prezzo remunerativo. Così è per la gran selezione, utilizzabile dai grandi (purchè delle uve dei propri vigneti), ma non da un piccolo che non imbottigli il suo. Secondo me questo ti sfugge.

  8. Roberto. Userò il caps sperando che questa volta mi risponderai !

    DIMMI COME FARESTI A DISTINGUERE IL CC CON MENZIONE DA QUELLO GENERICO !

    Secondo me, per i motivi che ti ho scritto nei miei numerosi commenti in questo blog – mi auguro che ti sarai perlomeno letto – non è ragionevolmente possibile pensare creare una differenza tra il CC generico e il CC con menzione nell’ambito di una singola produzione aziendale.

    Di conseguenza un commerciante sarebbe costretto a comprare il medesimo vino da un azienda, con oppure senza menzione. Il vino rimane lo stesso. Ora, se il mercato richiedesse una particolare "menzione", allora e solo in quel caso il commerciante potrebbe decidere di pagare un "premio" per quella particolare menzione. E’ chiaro che questo implica che EVENTUALMENTE certe menzioni POTREBBERO valere più di un CC generico, ma è altrettanto chiaro che un CC con menzione (qualunque)non possa valere di più a PRESCINDERE dello stesso vino CC ma con status "generico".

    Senza riuscire a fare questo cioè riuscire a creare una base per una piramide ed un primo scalino "qualitativo"non si riesce a scalfire quello che era e rimarrà IL problema del CC cioè il rischio della periodica commoditizzazione della denominazione.Con questo termine si intende la banalizzazione della percezione del valore dei prodotti, indotta tra le varie cause in particolare dalla proliferazione di offerta e dal moltiplicarsi del primo prezzo.

    In altre parole se non si trova effettivamente il modo di creare una reale differenza tra il CC generico e quello "con menzione", il problema rimane del tutto invariato anzi PEGGIORA perchè sul mercato si troverà in aggiunta alla situazione attuale anche del CC con menzione, di quelle magari più appetibili (riconoscerai che questo prima o poi avverrà, vero ?) imbottigliati da "qualche" speculatore che venderà avendolo acquistato a basso prezzo, magari sottocosto che "disturberà" alquanto.

    Certo per alcune figure le cose sicuramente migliorerebbero, ma a spese di altre per cui i problemi peggioreranno considerevolmente.

    A meno che di riuscire effettivamente a distinguere davvero il CC generico da quello con menzione. Attendo tua risposta su questo punto. Grazie.

  9. Cristiano, non ho la risposta alla tua domanda. Credo che questa strada va percorsa perchè può mettere in moto un circolo virtuoso. I rischi ci sono ma dopo 20 anni di immobilismo vale la pena di provare. Comunque per ora sono solo conversazioni, quando si comincerà a ragionare sulle regole la cosa prenderà forma. Per come è messo ora il CC direi che vale la pena provare. Più di così non so cosa dire.

  10. Ti ringrazio Roberto per la tua risposta sincera. Non credo si debba per forza di cose fare qualcosa a tutti i costi: c’è già la Gran Selezione a dimostrazione della rinnovata volontà di fare. Non credi ? 😉

    Certo qui siamo solo a chiacchierare, ma in qualche modo mi auguro quanto viene discusso possa fare maturare le idee.

    Resto convinto che trovare effettivamente il modo di discriminare tra CC generico e CC con menzione, sia un’ostacolo insormontabile (ma magari qualcuno potrebbe smentirmi), e per questo rimango dell’idea che per valorizzare il concetto di zonazione occorre necessariamente ricorrere alla discriminazione tra récoltant e négociant.Solo così si riesce a cogliere la trasversalità delle offerte.

    In questo modo l’eventuale négociant speculatore provoca danni che in qualche modo sono limitati alla sua categoria, il récoltant può commercializzare il suo vino senza subire la concorrenza sleale del négociant anche se decidesse di commercializzare senza "menzione".

    "L’integralmente prodotto" rimane una categoria trasversale a disposizione di tutti coloro posseggono vigne siano essi négociant o récoltant.

    Ovviamente per récoltant intendo produttori/imbottigliatori (prevalenza di reddito agricolo),négociant = industriali (anche con vigneti ovviamente).

    E’ sicuramente una proposta artcolata ma ritengo equilibrata, in Francia sembra funzionare. In questo modo si riuscirebbe a focalizzare l’offerta sulla specialità del valore peculiare di ogni categoria salvaguardando l’unità della denominazione valorizzandone contemporaneamente la territorialità.

  11. Mi dimenticavo di specificare che nella mia proposta il CC con menzione non dovrebbe necessariamente sottintendere che questo in alcun modo sia superiore ad un CC generico (anche se ovviamente questo non preclude che possa diventarlo con il tempo.) In definitiva il CC con menzione diventa quello che sono le sottozone nel Chianti (non Classico). Colli senesi, colli fiorentini. C’è chi lo rivendica e chi no.

  12. Interessante il vostro scambio, le mie perplessità rimangono intere, finchè non si sarà risolto non tanto le denominazione che siano di vigna, di comune, di gran selezione, non ha importanza, ma finchè ci sono le commissioni di assaggio, a mio avviso non si potrà fare niente di interessante!!!
    Vanno abolite, e da li in poi potrebbe diventare vero tutto il resto. Ma sono attualmente lo strumento di appiattimento peggiore che ci sia. Giudicare un vino unicamente sull’assenza di "difetti" e non sulla piacevolezza è una cretinata. Immagino però che è impossibile fare diversamente per cui meglio abolirle.
    Con le zonazioni, sarà poi il mercato ed il consumatore a valorizzarle, però va anche creata l’indentità del vino principale, quello che ricopre tutta la denominazione, se su cosa volete costruire delle identità?

  13. Antoine, l’identità del vino principale, quello senza zonazione, sarebbe quello attuale: la zona dove geograficamente si produce il Chianti Classico; il gallo nero è il suo simbolo. Potrei essere d’accordo con te sull’abolizione delle commissioni di assaggio, ormai veramente superate, anche se i parametri chimici, le analisi per l’idoneità, dovranno essere sempre eseguite a garanzia del rispetto del disciplinare.
    Ma siccome dunque il vino Chianti Classico, gallo nero, è quello prodotto in questa zona, allora anche la proposta di Roberto Stucchi, fatta qualche tempo fa, di abolire anche le restrizioni varietali, potrebbe essere interessante. Nel senso che tutto il vino prodotto nel territorio potrebbe fregiarsi del gallo nero, simbolo del territorio. Ma queste son fantasie, forse.
    A mio parere la zonazione è solo un tentativo di far emergere aspetti giovanili, in questa denominazione "vecchia".

  14. Sulla libertà varietale…. quando lavori con cabernet sauvignon o franc come a Bordeau, la libertà varietale non ti sciupa la tipicità in quanto è talmente forte l’impronta delle variètà principale che puoi sempre riconoscere l’identità di base.
    Ho seri dubbi con il sangiovese la cui finezza a mio avviso viene "sciupata" già da piccole percentuali di vitigni " internazionali " a forte impronta.
    Tutti declamano la mancanza di identità nei vini, parte del problema della denominazione (non delle aziende) allora se si sceglie di andare nella direzione dei marchi aziendali, va bene la liberalizzazione non cambia molto dalla situazione attuale, o si vuole rafforzare un identità comune allora…converebbe mettersi d’accordo e lavorarci…?

  15. Anch’io credo che le commissioni di assaggio siano una cosa un po’ anacronistica, ma fino ad un certo punto, dipende qual’è il loro scopo e quant’è il loro potere discrezionale. Certo le analisi di base, secondo me sono indispensabili, ma poi come riuscire a coniugare l’indispensabile correttezza formale con l’inevitabile soggettività di una commissione di assaggio è il vero punto critico. Arrivare a dire che le commissioni di assaggio siano un cosa inutile però credo di non essere d’accordo anche perché è comunque sempre un bel controllo e rimane anche un po’ uno spauracchio. Certo, tutto è aggirabile ma insomma fino ad un certo punto. Sulla libertà varietale devo dire che oggi come oggi la penso in maniera diversa rispetto a qualche anno fa. Credo che i famigerati alloctoni andrebbero imbottigliati a se, come sto facendo, senza se e senza ma.Non sento la necessità di riuscire a dargli "il gallo" a questi vini e questo secondo me creerebbe solo confusione. Personalmente riesco a venderli bene spesso a persone a cui non interessa il sangiovese o anche la nozione stessa di territorio, sono clienti che cercano un buon vino "edonistico", senza tante menate ed è bene riuscire a fare qualcosa di buono per tutti i palati.Sono certo però che non per tutti sarà così.

  16. Le opinioni e le possibilità sono infinite. Mi pare che tutti però siamo in accordo per mettere "sale" in questa denominazione un po’ generica, poiché i famosi tre livelli, normale, riserva e gran selezione, ci stanno stretti sopratutto in relazione al grande valore aggiunto del territorio, da valorizzare fino in fondo, grandi e piccini, nelle forme condivise.
    Madonna ragazzi… mi sembra di parlare in politichese… 😉

  17. Pare che permettere la semplice menzione Comunale in etichetta sia una cosa molto semplice dal punto di vista legislativo, d’altro canto invece quella SOTTOcomunale invece sia una cosa praticamente impossibile, sempre considerando la cosa dal punto di vista legislativo. Non credo che i viticoltori di Panzano o Lamole sarebbero tanto contenti a poter scrivere "Greve in Chianti" in etichetta !

    Insomma l’elefante parrebbe destinato a dover partorire il solito topolino.

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