Il Chianti Classico è ormai nei fatti una Denominazione di ricaduta?

Il nuovo Gruppo su Facebook “Vignaioli di Radda”, che in un sol giorno di vita ha raccolto oltre 150 adesioni, oppure le Aziende di Lamole, ma anche realtà più istituzionalizzate come i Viticoltori di Panzano in Chianti, e i Viticoltori di Castellina in Chianti, dimostrano come ormai nel territorio dei Monti del Chianti dove si produce il vino Chianti Classico esistono forze dove la zonazione è un dato di fatto.

Il fenomeno è un salto a piè pari nei confronti del Consorzio Chianti Classico, organismo che dovrebbe rappresentare tutte le realtà produttive ed economiche del territorio e del vino Chianti Classico dove si parla di zonazione da decenni, ma senza alcun risultato pratico. La zonazione di un vasto territorio dove si produce vino, con la quale si esaltano proprietà ben delimitate dei produttori, del suolo e dei vini, rappresenta un enorme valore aggiunto per chi vuol approfondire e capire, che non si accontenta più della generalizzazione. Insomma tutto un mondo di vino che crede nelle singole aziende e nella specificità dei territori e non si accontenta più di una denominazione che appare sempre più al servizio dei grandi imbottigliatori, della grande distribuzione e dei grandi mercati.

Per questro motivo, come insieme si valutava con Roberto Stucchi di Badia Coltibuono in occasione della riuscita manifestazione “Sangiovese Purosangue” a Roma la scorso week-end, la Denominazione Chianti Classico appare come una sorta di ricaduta, al di sotto dei singoli territori che nella loro diversità producono vini con linee gustative riconoscibili ed esclusive, ormai di fatto esistenti e riconosciute.

 

10 pensieri riguardo “Il Chianti Classico è ormai nei fatti una Denominazione di ricaduta?”

  1. Il territorio del CC è uno dei più diversificati,come terreni,microclimi,esposizioni… il Sangiovese è un amplificatore di queste differenze… in più i molteplici uvaggi consentiti, le pratiche enologiche più disparate, creano un mosaico di infinità varietà. La semplice denominazione Chianti Classico non rappresenta più in maniera adeguata questa enorme diversità. Qualificare in alto, partendo da ampie denominazioni comunali, proseguendo con la definizione di sottozone, è l’unica strada che permetterebbe una ri-valorizzazione di questa splendida zona. Non più una zona = un vino, ma una zona composta da un mosaico di sottozone distinte. E quindi vini su livelli diversi. E una piramide che dia il giusto valore alle produzioni autenticamente territoriali. Il valore aggiunto è già nell’intraprendere questa strada, nel raccontare la realtà di questi splendidi territori, e nel tempo arrivare anche ad una vera zonazione. Oggi realmente il CC è una denominazione di ricaduta – ricaduta da denominazioni che ancora ufficialmente non ci sono, ma che per i veri appassionati, e per molti produttori esistono da tempo: le sottozone del Chianti Classico.

  2. Ho risposto al volo con un tweet a Paolo circa questa proposta delle sottozone, ma approfitto di questo spazio per articolare meglio la mia opinione al riguardo.
    L’idea è buona, in quanto rispecchia senz’altro la realtà dei fatti. Sono d’accordo sul fatto che la diversità dei vini della nostra zona sia un valore da divulgare, ma questo compito può essere svolto anche da produttori e sommelier.
    Credo che creare delle sottozone del Chianti Classico al momento non avrebbe invece alcun senso, né dal punto di vista storico, che commerciale. A mio avviso, qualsiasi sforzo per valorizzare la denominazione sarà infatti vano finché verrà consentita la coesistenza sul mercato di un marchio fraudolento che continua a generare confusione nei consumatori. Questo è quello di cui si dovrebbe occupare, una volta per tutte, il Consorzio prima di affrontare una qualsivoglia seria ristrutturazione.

  3. Il problema di fondo contemporaneo è quello della scarsa partecipazione in tutte quelle sedi dove di deve sintetizzare le diverse opinioni. Speriamo che questa crisi porti nuovamente alla partecipazione e alla condivisione delle idee e la politica, quella sana, riesca nel suo lavoro. Grazie del tuo intervento Christian.

  4. Questi giorni ho rifletuto un po su queste proposte, le differenze – come le similitudine – esitono di fatto. Per cui possiamo, e forse dovremmo, già lavorare sulla communicazione di queste qualità dovuto al territorio, dovremmo già communicare sulla nostra volontà di essere gruppo. Esiste davvero questa volontà di essere gruppo?
    O si vuole esaltare le differenze sperando di essere nella nicchia commerciale che tira?

    Quello che mi è difficile capire, è questa voglia di [u]normare[/u] tutto di fare una legge che definisce le differenze, una legge che, si sa già ora, dopo 10 giorni andrà stretta a qualcuno e si ricomincierà una nuova suddivisione…. Proprio è un tipo di visione delle costruzione della communicazione che non riesco a capire!!!

    Lo stesso mecanismo sta nascendo nel biologico ora ci sono delle spinte a voler creare due marchi bio quello per i piccoli e quello per i "grandi"…. Ma esisitiamo tutti e due già; sta ad ognuno di communicare la propria tipicità i propri valori portando avanti il gruppo, e non cercando divisioni che comunque danneggiano tutti.

    Ho sempre creduto e diffeso che se il mio vicino grande o piccolo che sia, vende bene per fama di qualità, sicuramente venderò meglio anchio. Senza negare differenze si può lavorare e communicare sulle tipicità e le differenze interne ai vari terroir chiantigiani, ma mi sembra anche utile communicare le similitudini se vogliamo iniziare a differenziarsi di più dal "vino Chianti", senza per questo dover buttare all’aria tutto il consorzio.
    No?

  5. A me sembra che intraprendere seriamente la strada dell’evoluzione della denominazione sia l’unico modo per ridare vitalità ad un consorzio che manca totalmente di una visione per il futuro della zona.Per evoluzione intendo la messa a fuoco delle differenze, e la strutturazione di "gradini" di valore. Il percorso non è di divisione;visto da lontano e nel suo insieme il CC è una realtà sfuocata e dalla poca identità, messa a fuoco avvicinando la visuale si scopre che il CC è un mosaico di infinita diversità e diventa tutto più interessante, complesso e raccontabile.La valorizzazione non può essere che la valorizzazione delle differenze.Unità nella diversità. Normare è l’ultimo passo di un percorso: il primo è riformulare come consideriamo il CC. Il secondo cambiare come lo raccontiamo: invece di nascondere le differenze enfatizziamole. I dettagli si definiranno strada facendo,l’importante è intraprendere il cammino.

  6. Condivido l’ideale, ma la realtà, non so se per storia, se per le difficoltà commerciali, per giocchi di potere, per le decisioni su come e per chi si spende per la promozione… sta diffatto che la mia impressione (e forse sbaglio) è che non si riesce a creare un dibattito costruttivo, sul quale andare avanti anche con "disaccordo", senza che venga fuori un astio divisorio più che una volontà di trovare una communicazione comune.
    Forse sarebbe più semplice dibattere a piccoli gruppi, più o meno già esistenti, per arrivare prima o poi, a parlare tra i gruppi, per ottenere una proposta da portare avanti.

  7. Non deve stupire Roberto se queste argomentazioni finiscono per rimbalzare nelle menti della direzione del Ch.Cl. Che interesse vuoi suscitare con un qualcosa che rimarca differenze, e che potenzialmente rischia solo la frammentazione della denominazione ? La mentalità, mi pare di capire, è ancorata ad una visione mercantilistica della denominazione, si cerca ancora di sfruttare il marchio nel senso di una gestione monopolistica della questione, anche perchè si pensa così di accontentare sia il grande che il piccolo. Eppure, se così fosse, sarebbe già qualcosa, ma non è così ! Basti guardare l’istituzione della "gran selezione", un contenitore, che vorrebbe garantire una maggiore qualità appunto "mercantile"del prodotto, e che in realtà significa poco/nulla. Di fatto la dizione"l’integralmente prodotto all’origine" prerogativa di questa categoria, viene bruciata e svuotato del significato originario perchè sottintende, neanche tanto velatamente, che è un concetto legato a parametri "quantitativi"analitici. E non mi si venga a raccontare che non è così. L’assioma vino più estratto, più maturato in legno, più… (aggiungete quello che volete), è un concetto fasullo fatto a misura chi il vino deve "fabbricarlo"(manufacture ) secondo una tipologia ben stabilita per poi commercializzarlo in una nicchia apposita, creata ad hoc e che finisce per scardinare alla base il concetto di vera territorialità e zonazione.Fin quando non ci sarà una visione un po’ lungimirante, forse un po’ sognatrice, se volete,-ma il vino è anche questo e che se ne facciano una ragione anche nel Cda- c’è poca speranza per il futuro. Ciao.

  8. Pensa che ti ripensa, credo che esistono due strade a mio parere. Una, verso la completa liberalizzazione, nel senso che ognuno decide nel territorio dei Monti del Chianti che vino produrre, senza tanti paletti e burocrazia; l’altra sono tutte le regole e regoline, paletti e palettini. Questa seconda ipotesi dovrebbe essere la sintesi della mediazione tra i produttori, industriali, e tutto il resto, ma mi pare erta di difficoltà in quanto ognuno pensa diversamente su tutto, a meno che un indirizzo politico forte decide.

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