Le opinioni sui provvedimenti per la lotta contro i cambiamenti climatici in viti-vino-coltura sono numerosi.
I miei consigli in proposito:
– ritorno a impianti con un numero di ceppi per ettaro inferiore rispetto a quanto recentemente suggerito da molti agronomi. Questo permette alle viti di avere un portamento più alto con conseguente ombreggiamento dei suoli, una maggior disposizione idrica e meno concorrenza idrica tra viti.
– Ritorno a cloni tardivi. Questo permetterà di vendemmiare nei tempi più equilibrati recuperando maturità che si perde anticipando le vendemmie.
– Ritorno a sistemi di potature che assicurino produzioni un poco più alte per ceppo, in modo da limitare la concentrazione
– Interventi agronomici che migliorino il trattenimento nei suoli dell’umidità e degli eventuali temporali, come basso inerbimento e piccole lavorazioni sulla fila.
Altre considerazioni:
Non credo che l’irrigazione possa risolvere adeguatamente il problema, in quanto se mal effettuata può addirittura, in viticoltura, produrre effetti negativi sulla qualità dell’uva. La pianta infatti “sente” una disarmonia tra condizioni atmosferiche e disponibilità idrica indotta artificialmente. Naturalmente questa considerazione si riferisce non tanto a produzioni intensive, ma ai territori di qualità dove il territorio, appunto, fa la differenza.
Il ricorso in cantina di correzioni come la reidratazione o l’aggiunta massiccia di acidi per ovviare a uve disidratate, ricche di zuccheri, povere di acidità e alti PH può essere valida nelle produzioni intensive ma non, di nuovo, ai territori di qualità.
Infine nel caso specifico del territorio del Chianti Classico, auspico la possibilità di reintrodurre una piccola percentuale di uve bianche come il Trebbiano e la Malvasia, come del resto prevedeva Betino Ricasoli l’inventore di questo vino, per recuperare in modo naturale freschezza e bevibilità.