Essere fuori norma, in agricoltura.

 Lo spunto di questo post mi è venuto quando qualche giorno fa una mia cara amica che produce vini blasonatissimi di un’azienda vicino a Caparsa mi ha riferito di aver ricevuto la “visita” di due signori, vestiti normalmente, ispettori della sicurezza sul lavoro. Costretta ad assumere due consulenti per cercare di tamponare, è consapevole di andare incontro a una multa per qualsiasi motivo, solo per finanziare la struttura di controllo.

Soprattutto in questo periodo d’intenso lavoro in vigna per un piccolo produttore come me, queste “visite” scatenano sentimenti e riflessioni che possono sconfinare in rabbia. Per quanto mi riguarda io faccio il possibile, ho solo due tre dipendenti avventizi, cerco di fare il meglio possibile, ma sono consapevole di essere fuori norma. Naturalmente parlo di fuori norma secondo le leggi, delle tante che si affollano e s’intrecciano in modo tale di essere sempre fuori norma. Essere fuori norma, dunque, è una regola per chi produce. Sicuramente la maggior parte delle regole s’ispirano a sani principi, ma la problematica che succede è a mio parere questa: come è possibile produrre in modo concorrenziale e globalizzato quando una spada di Damocle, la burocrazia, si aggira sempre sopra la testa di ogni imprenditore, soprattutto piccolo imprenditore?

Esempio: è da 45 anni che vado in vigna e negli ultimi anni penso che posso anche insegnare qualcosa. Allora perché se assumo un operaio dovrebbe frequentare un corso per “saper stralciare” o “legare le viti”, non basto io a farlo? Perché devo pagare qualcuno che forse, senza presunzione ovviamente, ha molta meno esperienza di me? La risposta è semplice: è una questione di soldi, non di sostanza. Questo è solo un piccolo esempio, ma potrei portarne numerosi altri. Parliamo di trattori. Ho tre trattori tutti a norma, tutti con la cintura di sicurezza e rollbar o cabina, io vado sui trattori da 45 anni. Non mi sogno lontanamente d’insegnare o assumere qualcuno per fare, anche in parte, il mio lavoro. Corsi, patentini e 6 ore massime di lavoro al giorno, mi fanno venire il mal di stomaco, tanto vale non assumere nessuno e se mi ammalo io, vada tutto al diavolo.

Il nodo centrale per molti coltivatori è dunque questo: chi me lo fa fare. E allora i giovani non si assumono, si cerca di resistere e i più lungimiranti delocalizzano all’estero.

Anch’io, in segreto, ho una mezza idea di andare in Perù e lasciare tutto qui, che ci si adatti con gli istruttori dei corsi, se qualcuno vuol continuare l’attività. Dirò di più: se qualcuno mi fa girare i cabasisi e mi trova stanco dopo 10/12 ore di lavoro magari sul trattore, io potrei anche perdere la testa abbandonandomi in azioni incontrollate e pericolose.

Dunque, il regime sanzionatorio per ogni questione di lavoro è da abolire.

Piuttosto, occorre un’assistenza statale che funzioni come collaborazione ai fini del miglioramento generale delle condizioni del lavoro e dell’impresa. Con collaborazione si possono diminuire i rischi sul lavoro e non solo (come ad esempio l’Haccp), con armonia. Con una metodologia collaborativa, quando arrivano due distinti signori a controllar piccole imprese, non deve venire ansia e malumore, ma deve venire piacere perché significa che non si è soli, che qualcuno ci vuol aiutare, senza vivere la “Spada di Damocle” dei regimi sanzionatori. Allora si assumerebbe, si avrebbe energie sufficienti anche per tentare di espandersi… si creerebbe un circolo virtuoso a tutto vantaggio della collettività: oggi succede tutto il contrario.

C’è chi dice che in fondo si vuol favorire le imprese di manodopera, che assumono operai mal pagati che ruotano continuamente, ma che evitano tutte le responsabilità e la burocrazia. Forse si. Ho un esempio a Panzano, e non solo, dove si sta licenziando manodopera fissa o fissa/avventizia per affidarsi solo a ditte esterne. Se questo è il futuro, presto ne vedremo delle brutte nelle vigne e nei vini. Le vigne e i vini, l’agricoltura, ha bisogno di personale che “conosca”, che lavori non solo per l’ora di lavoro, con i quali si stabilizzi una continuità e passione lavorativa, altrimenti… addio Italia.

La Natura sconosciuta

Da qualche tempo ricevo gruppi di giovani americani che studiano a Firenze, venti, ventidue anni. La cosa che mi ha colpito è che nel 99% non hanno mai visto una gallina viva. Conoscono solo le galline morte, al supermercato.

Questo fatto mi spinge ad alcune considerazioni: milioni di persone al mondo vivono senza nessuna sintonia con l’ambiente naturale, si vive solo in ambienti artificiali. Città, auto, computer e case, non lasciano spazio a nessun rapporto con la Natura. Questo può distorcere molto la visione delle cose nel nostro mondo. Le relazioni tra umani e esseri viventi sono strette e sono importanti per capire come e perchè della vita. Le relazioni e le interconnessioni tra batteri, funghi, microorganismi, uccelli, primati, pesci, insomma tutto quanto è vivente, sono di fondamentale importanza per la vita e per il senso della vita.

Non conoscere, non aver mai avuto modo di conoscere e capire gli esseri viventi, piante comprese, può essere dannoso e distruttivo.

Per quanto mi riguarda ho imparato come il rispetto e la consapevolezza dei milioni di ecosistemi interconnessi nel sistema complesso vigna e nel sistema complesso cantina sia di fondamentale importanza.

La forma e la sostanza

Gli ultimi vent’anni hanno segnato la forma. Le donne vestite in un certo modo, la moda che asseconda sapientemente le forme, le veline alla tv che ispirano le teenagers, ma sopratutto la burocrazia cha ha inseguito la formalità, dimenticando la sostanza delle cose quotidiane, delle relazioni, degli affari, degli affetti, ha prodotto un’aberrazione che tutti noi viviamo quotidianamente. Ho sempre sostenuto che una bella donna occorre vederla nuda e non vestita da Armani per apprezzare, una donna vestita con i vestiti del mercato e scorirla bella al naturale per me avrebbe più attrazione… ma evidentemente non è così. Questa è una metafora ironica per noi amanti del vino, poichè le cose si ripetono: una bella bottiglia con tappo lungo, etichetta dell’ultimo design, packaging e marketing aggressivo fa più “mercato” di una bottiglia leggera, etichetta artigianale, packaging riciclato. Il vino è secondario.

Ma tutto questo non lo dico perchè voglio fare il ganzo e naturalemete non voglio offendere nessuno, nemmeno la Santanchè che ho riportato in foto trovata liberamente in internet: ognuno ha i suoi diritti e i suoi spazi. Voglio solo cercare di far capire come oggigiorno la forma è dominante in ogni cosa: l’apparenza delle persone, i fogli della burocrazia, il lavoro, la sicurezza, la tv… tutti, io compreso, siamo coinvolti.

Sta roba deve finire. Ma finirà solo quando un popolo intero cambia.