Sempre più vendite tra le proprietà dei vignaioli

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In Chianti, come in altri territori come in Barolo, sta accadendo un fenomeno sempre più diffuso: la vendita delle proprietà a magnati stranieri e/o cordate finanziarie quasi sempre straniere.

I piccoli vignaioli italiani si ripetano tra i denti “Ma chi me lo fa fare…”, e dopo molte decine di anni magari di ottime performance, si vende.

Le ragioni possono essere molteplici, ma tre spiccano secondo me:

Il passaggio generazionale; l’impossibilità di vedere nei figli una continuazione del proprio lavoro, oppure una difficoltà di dialogo tra i figli, oppure difficoltà di giusti accordi tra gli eredi, possono davvero far muovere la molla della vendita. Ma anche il fatto che l’età del vignaiolo capo avanza e vedere la propria vita completamente dipendente da questo tipo di lavoro può ad un certo punto essere determinante.

La burocrazia; ogni giorno, ogni settimana, ogni mese e ogni anno le regole cambiano, gli impegni burocratici sopratutto formali (e noi italiani siamo grandi in questo) si moltiplicano e con essi lo stress e i rischi collegati alla propria attività. Non è possibile agli occhi di chi ha sempre lavorato nel vigneto e nella cantina veder sacrificare questa esperienza a favore dei lavori formali. Altra importante ragione di sceglier di vendere tutto.

La finanza; La liquidità, spesso capitali di origine misteriosa o dubbia, ha bisogno di investire per vederne il frutto. Il settore dove le tasse sono più agevolate è l’agricoltura, e le aziende vitivinicole familiari in particolare sono davvero allettanti. Inoltre, fino ad oggi, tale investimento rappresenta una sicurezza molto più elevata rispetto ad altri settori. Vedersi offrire tanti soldi, oltre quanto si possa immaginare, può essere un altro punto determinante.

La situazione mi ricorda molto quanto alcuni anni fa è successo nella distribuzione: la nascita dei centri commerciali ha ucciso il bottegaio di quartiere. E così sta accadendo in Italia nel mondo del vino.

Maurizio Gily ha scritto recentemente e giustamente in un post Facebook:

ciao ciao vignaiolo.

 

Da regime sanzionatorio a regime collaborativo

Forse la mia è una riflessione visionaria che non proviene da problemi contingenti ma è il risultato delle mie osservazioni. Provo ad esporla, perché davvero mi piacerebbe sentire più opinioni.

Le piccole imprese, gli artigiani, il tessuto economico flessibile e virtuoso di cui è ricca l’Italia, miniera di sapienza e inventiva, lo zoccolo duro dell’Italia, ha una spada di Damocle: la difficile conoscenza di tutte le norme legislative. Questa spada che pende pronta a colpire, spesso in modo iniquo, spesso solo per far funzionare apparati repressivi, non fa altro che ostacolare il lavoro di tante piccole attività. A mio avviso il regime sanzionatorio attuale ha costi superiori ai benefici per la collettività, sia per le macchinose o lente procedure, sia per i ricorsi o semplicemente per l’impostazione depressiva e non certo virtuosa.

Non è possibile continuare ad applicare le stesse norme per chi ha un’impresa con pochi dipendenti e chi invece ha centinaia se non migliaia di dipendenti.
Le imprese familiari sopratutto sono penalizzate dalla giungla di norme che obiettivamente è difficile conoscerle tutte, poiché pochi individui non possono coprire tutto.

La mia proposta è quella di passare da un regime sanzionatorio a un regime collaborativo, nel senso che quando si fanno i controlli, per lo meno al primo, non si applichi la sanzione ma una forma di aiuto collaborativo per migliorare l’impresa inadempiente.
Una specie di piano di rientro, dove la piccola impresa si impegna a risolvere l’inadeguatezza in un arco di tempo, seguita e aiutata da quegli stessi enti che conoscono quella norma. Enti che invece di sostenersi in qualche modo dalle sanzioni, si sosterrebbero attraverso il circolo virtuoso economico del miglioramento funzionale della piccola impresa italiana.

Le troppe consulenze

Consulenze, si vendono consulenzeeeee!!!

L’ultima offerta che mi è arrivata sono i servizi doganali, ma spesso arrivano proposte di servizi di marketing, consulenze per la produzione, servizi logistici, servizi per la tenuta dei registri telematici, servizi di assistenza e consulenza di ogni genere. Insomma un esercito di persone che, per carità non ho nulla di personale contro, ma mi sembra un tanticchio in eccesso rispetto a chi è addetto alla produzione, nel mio caso il vino.

Questo sta a significare che se compriamo un bene, il prezzo di quel bene si determina sopratutto dai costi dei servizi…
Servizi, che la burocrazia contribuisce a crescere in modo abnorme.

La Spada di Damocle

 

Un piccolo agricoltore, Coltivatore Diretto come me, si deve sobbarcare di mille obblighi, in quanto si occupa dalla produzione fino alla commercializzazione. Star dietro a tutto, lavorare sempre e ricordarsi che esiste l’amore, ed è la cosa più importante, per e della famiglia è difficile.

Cosicchè le spade di Damocle sono sopra le nostre teste, in ogni dove: il vigneto, le macchine, i collaboratori, la trasformazione, la commercializzazione, ecc.

Purtroppo, le numerose regole e leggi fanno in modo che anche piccoli errori formali possono diventare catastrofici se i controlli vengono applicati alla lettera.

Recentemente ho avuto un rilievo poichè nell’etichetta di alcuni vini non ho scritto “Prodotto in Italia”, avendo scritto solo “Italia”, oppure ho scritto “Integralmente prodotto da…” invece di “Integralmente prodotto e imbottigliato da…”.

Lo ammetto, mi è sfuggito, ma in parole povere se dovesse esserci un controllo della Repressioni Frodi avrò una multa ingente e il sequestro di tutte le bottiglie etichettate, che sono proprio tutte perchè imbottiglio etichettando una volta per tutte (non avendo spazi sufficienti per stoccare ed etichettare via, via).

Orbene, vi dico con sincerità che se accadrà qualcosa del genere, probabilmente andrò in galera perchè prima farò una strage. Ovvia l’ho detto, sia che ci crediate, sia che no.

 

 

…e se Caparsa sparisse?

Sarebbe una sconfitta. Ma sicuramente qualcuno gioirebbe, vedrebbe aumentare i propri spazi, meno concorrenza, un piccolo produttore rompicoglioni in meno.

Trentatre anni fa io e la mia compagna Gianna facemmo una scelta verso la Terra, che a parere di molti era sbagliata, poiché l’agricoltura e il vino non permettevano redditì soddisfacenti. Ma eravamo felici poiché i bisogni erano minori, il territorio del Chianti era più sobrio, i contatti umani erano semplici e sempre pieni di nuove esperienze, sopratutto con gli stranieri che cominciavano a venire nel Chianti. L’agriturismo nasceva in quegli anni e ci assicurava un reddito complementare alla produzione di vino, per continuare quella scelta di vita e di passione. Il vino si vendeva, non si vendeva, ma non era fonte di grande stress se non si vendeva. Oggi occorre comunicare sempre più e meglio, occorre passare un tempo infinito in ufficio, si passano ore davanti al computer e poi di corsa in vigna per fare il più velocemente possibile i lavori, e poi si rincorre la qualità e il mercato, e poi c’è la burocrazia da affrontare sempre più asfissiante, e poi le tasse e le scadenze, e poi gli innumerevoli eventi vinosi che portano via tempo, risorse e salute, e poi le permanenze turistiche ormai ridottissime che fanno forse felici gli albergatori, ma non certo i piccoli agricoltori, e poi le troppe regole sul lavoro… insomma una continua rincorsa per continuare a fare e vivere quel sogno che iniziammo tanto tempo fa. Ecco: il tempo, di tempo, oggi, c’è né sempre meno per la quantità di operazioni che occorre fare nel più breve tempo possibile.

Ma non crediate che ceda, resisterò con Gianna, come resisteranno quelli come me che hanno seminato tanto in questi decenni. Ormai siamo abituati a stringere i denti.

Ok per lo spesometro, ma non fateci fare i poliziotti!

lo spesometro è uno strumento delle Agenzie delle Entrate per controllare scostamenti del 20% tra reddito dichiarato e spese effettuate. Raccoglie le entrate di tutte le fatture emesse dai soggetto Iva con contabilità trimestrale. Anche i piccoli agricoltori rientrano da oggi.

Perfetto. ma…

Noi piccoli agricoltori, per lo più ditte individuali, abbiamo per legge un reddito che si basa sul reddito agricolo, per cui un agricoltore può avere un reddito ad esempio di 3000 euro, che deriva dai redditi catastali, ma può ad esempio spendere o incassare 200.000 euro: in sostanza le entrate vengono registrate, ma non rientrano nel calcolo del reddito. Il grande vantaggio per lo Stato nelle contabilità forfettaria della maggior parte dei piccoli agricoltori è quella che non si può detrarre l’iva dei beni acquistati da quelli venduti, per cui lo Stato incassa, sempre, circa l’11 % di Iva su tutto il venduto, senza dunque possibilità di detrarre l’Iva. E’ un procedimento conveniente per lo Stato che si assicura sempre entrate di Iva, ma è anche conveniente per i piccoli agricoltori perchè semplifica la burocrazia, e si sà come la burocrazia incide sulle attività agricole (e non solo)!. Inoltre per i piccoli agricoltori separare la contabilità aziendale da quella familiare sarebbe impresa ardua, proprio per le caratteristiche intrinseche dell’agricoltura. Dunque lo scostamento del 20% tra reddito e spese affettuate è la regola in questa categoria. Evvabbè saranno loro a dimostrare le eventuali incongruenze…

Ora però, non si capisce bene perchè sulle fatture che emettiamo ai clienti esteri privati che comprano, nel mio caso il vino, occorre indicare data di nascita, comune di nascita e stato estero del domicilio! Faccio presente che noi piccoli agricoltori in regime forfettario non abbiamo l’obbligo di emettere scontrini fiscali in vendita diretta, abbiamo solo l’obbligo di annotazione dei corrispettivi nei registri contabili. Quindi i clienti che vogliono spedire i vini tramite corrieri espresso  possono richiedere la fattura per la tracciabilità documentale o semplicemente per trasportare i vini. Però alla domanda: “mi serve la data di nascita, residenza, indirizzo…” mi guardano con due occhi grandi così e mi interrompono indignati: “MA IN ITALIA SIETE PAZZI?…”

In effetti perchè dobbiamo fare i poliziotti per l’Agenzia delle Entrate, oltre che fare agricoltura? Grande è l’interrogativo e grandi sono i misteri della burocrazia Italiana…

Ansie da controlli

In Italia stiamo vivendo un periodo molto particolare. Le attività economiche, tra le quali quelle agricole, condotte da uomini che spesso si fanno un mazzo così per far “girare” tutto, vivono in precarie condizioni psicologiche grazie alle poche certezze del sistema Italia.

Ormai la paura di incorrere nelle famose incongruenze, i controlli fiscali e normativi, burocratici, condizionano fortemente la psiche di chi ha le responsabilità con negative generali ripercussioni come occupazione e lavoro. Purtroppo in Italia le invidie dominano e le differenze sociali e culturali non sono riconosciute normalmente come accade in altri Paesi: anche chi si merita di aver di più subisce una aggressione psicologica molto forte. Non parlo certo dei “diritti acquisiti”, dove non si capisce perchè qualcuno per diritto acquisito riceve pensioni mensili di decine di migliaia di euro al mese, ma di diritti di chi meritatamente col proprio lavoro riuscirebbe ad avere quel qualcosa di più che altri per ozio o per mancanza di fantasia o per mancanza di laboriosità, non si possono permettere.

E’ questo forse un valido motivo per cui si va a lavorare all’estero, dove la meritocrazia viene riconosciuta. La meritocrazia è anche un valore che deve provenire dal popolo: in America se fai i soldi con il tuo lavoro sono tutti contenti, qui in Italia sorge subito il dubbio che quei soldi siano stati sottratti o addirittura rubati alla collettività.

Io mi sto rendendo conto che o il Paese tutto si fa comunista o socialista, allora diventiamo tutti dipendenti statali e forse l’ansia sparisce, oppure se dobbiamo continuare a vivere e lavorare in un sistema capitalistico globalizzato, competitivo, occorre cambiare atteggiamenti, norme e controlli. I controlli per esempio non dovrebbero essere finalizzati per “incassare” risorse, magari poi mal utilizzate, ma dovrebbero essere strumenti di aiuto per il miglioramento dell’impresa. Senza far creare ansie da controlli.

Essere fuori norma, in agricoltura.

 Lo spunto di questo post mi è venuto quando qualche giorno fa una mia cara amica che produce vini blasonatissimi di un’azienda vicino a Caparsa mi ha riferito di aver ricevuto la “visita” di due signori, vestiti normalmente, ispettori della sicurezza sul lavoro. Costretta ad assumere due consulenti per cercare di tamponare, è consapevole di andare incontro a una multa per qualsiasi motivo, solo per finanziare la struttura di controllo.

Soprattutto in questo periodo d’intenso lavoro in vigna per un piccolo produttore come me, queste “visite” scatenano sentimenti e riflessioni che possono sconfinare in rabbia. Per quanto mi riguarda io faccio il possibile, ho solo due tre dipendenti avventizi, cerco di fare il meglio possibile, ma sono consapevole di essere fuori norma. Naturalmente parlo di fuori norma secondo le leggi, delle tante che si affollano e s’intrecciano in modo tale di essere sempre fuori norma. Essere fuori norma, dunque, è una regola per chi produce. Sicuramente la maggior parte delle regole s’ispirano a sani principi, ma la problematica che succede è a mio parere questa: come è possibile produrre in modo concorrenziale e globalizzato quando una spada di Damocle, la burocrazia, si aggira sempre sopra la testa di ogni imprenditore, soprattutto piccolo imprenditore?

Esempio: è da 45 anni che vado in vigna e negli ultimi anni penso che posso anche insegnare qualcosa. Allora perché se assumo un operaio dovrebbe frequentare un corso per “saper stralciare” o “legare le viti”, non basto io a farlo? Perché devo pagare qualcuno che forse, senza presunzione ovviamente, ha molta meno esperienza di me? La risposta è semplice: è una questione di soldi, non di sostanza. Questo è solo un piccolo esempio, ma potrei portarne numerosi altri. Parliamo di trattori. Ho tre trattori tutti a norma, tutti con la cintura di sicurezza e rollbar o cabina, io vado sui trattori da 45 anni. Non mi sogno lontanamente d’insegnare o assumere qualcuno per fare, anche in parte, il mio lavoro. Corsi, patentini e 6 ore massime di lavoro al giorno, mi fanno venire il mal di stomaco, tanto vale non assumere nessuno e se mi ammalo io, vada tutto al diavolo.

Il nodo centrale per molti coltivatori è dunque questo: chi me lo fa fare. E allora i giovani non si assumono, si cerca di resistere e i più lungimiranti delocalizzano all’estero.

Anch’io, in segreto, ho una mezza idea di andare in Perù e lasciare tutto qui, che ci si adatti con gli istruttori dei corsi, se qualcuno vuol continuare l’attività. Dirò di più: se qualcuno mi fa girare i cabasisi e mi trova stanco dopo 10/12 ore di lavoro magari sul trattore, io potrei anche perdere la testa abbandonandomi in azioni incontrollate e pericolose.

Dunque, il regime sanzionatorio per ogni questione di lavoro è da abolire.

Piuttosto, occorre un’assistenza statale che funzioni come collaborazione ai fini del miglioramento generale delle condizioni del lavoro e dell’impresa. Con collaborazione si possono diminuire i rischi sul lavoro e non solo (come ad esempio l’Haccp), con armonia. Con una metodologia collaborativa, quando arrivano due distinti signori a controllar piccole imprese, non deve venire ansia e malumore, ma deve venire piacere perché significa che non si è soli, che qualcuno ci vuol aiutare, senza vivere la “Spada di Damocle” dei regimi sanzionatori. Allora si assumerebbe, si avrebbe energie sufficienti anche per tentare di espandersi… si creerebbe un circolo virtuoso a tutto vantaggio della collettività: oggi succede tutto il contrario.

C’è chi dice che in fondo si vuol favorire le imprese di manodopera, che assumono operai mal pagati che ruotano continuamente, ma che evitano tutte le responsabilità e la burocrazia. Forse si. Ho un esempio a Panzano, e non solo, dove si sta licenziando manodopera fissa o fissa/avventizia per affidarsi solo a ditte esterne. Se questo è il futuro, presto ne vedremo delle brutte nelle vigne e nei vini. Le vigne e i vini, l’agricoltura, ha bisogno di personale che “conosca”, che lavori non solo per l’ora di lavoro, con i quali si stabilizzi una continuità e passione lavorativa, altrimenti… addio Italia.

La burocrazia che mette ansia

 

Di questi tempi i soloni dell’informazione commentano, prevedono e giudicano, dall’alto
della loro supponenza, sicuri di avere un reddito per qualsiasi sentenza, previsione e
commento. O.k. Il mondo è bello perchè vario.
Chi però è abituato a vivere basandosi sul concreto e sulla praticità, sulla quotidianità della
vita, i figli, la compagna o il compagno, la scuola, i conti e quant’altro si vuole, quando si
imbatte nella burocrazia, nelle assurde migliaia di scadenze, obblighi, sanzioni, regole e
contro regole, balzelli di ogni genere, in una parola la BUROCRAZIA, la depressione
aumenta fino a desiderare la morte.
Si perché la crisi è anche figlia della Burocrazia. La burocrazia uccide chi produce:
sia imprese che agricoltura. Quindi la burocrazia uccide tutti.
Sarà perfettamente inutile rinegoziare il debito italiano in UE se non si dimezzano almeno
le incombenze per produrre. Le sapienze e le conoscenze di meravigliosi artigiani sono
bruciati da burocrazia e burocrati: la mancanza di credito, questione centrale degli opinionisti, è solo un aspetto molto parziale del problema.
Ma allora cosa si aspetta ancora?
Mettere insieme tutte le forze per uccidere la burocrazia, ora, subito, altrimenti son cazzi
amari per tutti.
Capito cari partiti?

Burocrazia: il piacere perso del lavoro

E’ come un tarlo che consuma e che distrugge. E’ fatta a strati, a livelli, dove ogni strato riceve istruzioni dall’alto, per cui nessuno è responsabile. Ogni strato risponde sempre allo stesso modo: “sono solo un impiegato, non dipende da me.” Strato dopo strato il peso aumenta, tutto sulle spalle di chi lavora.

Si vocifera che lo strato più alto in effetti non esiste, vive nel Regno dei Cieli, poi sulla Terra, forse in America o in Cina, poi in Europa, poi in Italia dove il terreno è fertile, poi giù vive nel Governo, nelle Regioni, nelle Provincie, e poi nei Comuni e negli uffici di ogni ente e genere. Un esercito di personale, retribuito, che non conosce esattamente cosa sta facendo.

Nel nostro lavoro, in Toscana, recentemente si sono abbattuti su di noi i poligoni. Sembra impossibile ma è stata fatta una nuova misurazione automatica delle vigne, basate da foto aeree eseguite con aerei stranieri qualche anno fa, e sono stati tracciati i poligoni automaticamente, che naturalmente non corrispondono con le misurazioni GPS a terra, e così cespugli che diventano fabbricati, vigne dove non c’è vigna, oppure non risulta vigna dove c’è vigna… in sostanza ARTEA, Provincie e singoli che parlano, parlano, e poi si incontrano con i Sindacati, con i Geometri e gli Architetti, con i Funzionari e dicutono tra loro, discutono, prendono il caffè… e noi? Noi siamo sempre i responsabili, noi dobbiamo sobbarcarci delle spese, noi dobbiamo alimentare questi tarli. Ma vadino a zappare…

Ma vaffanculo tutti!