Vivere in una casa sparsa a Radda in Chianti (e non solo)

Tutti guardano alla vita in campagna come un idillio, senza stress e ansie a differenza dello stress cittadino.
Si, per certi versi è vero, ma ci sono tante problematiche che solo la caparbietà e la natività riescono a superare.
La spinta a scrivere questo post mi viene da quanto accaduto per l’ennesima volta oggi. Come sapete chi mi legge, io con Gianna abbiamo costruito quasi quaranta anni fa una famiglia con cinque figli di cui gli ultimi nati sono gemelli che, quest’anno, hanno scelto di frequentare la scuola superiore che si trova a Firenze, nel comune di Bagno a Ripoli.
Se la scelta fosse stata Siena, nulla sarebbe cambiato. Infatti Radda in Chianti si trova esattamente a metà strada tra le due città, difficilmente raggiungibili: ci sono solo due collegamenti, una la mattina e una la sera con la Sita.

Tanto per intendersi i miei figli, tutti da chi oggi ha trenta anni a chi ne ha quattordici, si sono alzati o si alzano alle sei del mattino per poi ritornare a casa alle 15 o alle 15:30 del pomeriggio per raggiungere le stazioni della Sita.

Oggi, come altre volte è accaduto, la ressa all’uscita della scuola ha impedito di riuscire ad entrare nella Sita di ritorno, zeppa fino all’inverosimile, per cui morale della favola il figlio è riuscito a ritornare alle ore 18:00 grazie a mamma Gianna Uber. Si, perché è lei che ogni giorno li portata la mattina e li riprende la sera a Panzano in Chianti (frazione distante 12 km) in quanto non esistono coincidenze per arrivare a Radda.
Insomma, le vie di comunicazione sono estremamente difficoltose, particolarmente qui a Radda in Chianti: chi ha percorso le strade per visitare Caparsa si rende ben conto di quante curve e strade impervie occorre percorrere per arrivare!
Dunque il primo punto di difficoltà sono i collegamenti, che badate bene, non fanno tanto paura per chi ha scelto di fare la vita in campagna magari automuniti tra i 25 e i 50 anni, ma fanno paura quando l’età avanza e non è più possibile guidare oppure quando si è in giovane età per raggiungere la scuola o gli amici.
Per carità tutto è possibile, anzi le difficoltà forgiano il carattere!
Ma c’è un’altro punto di difficoltà che sono i costi per spostarsi: per un abbonamento Sita occorrono 7/800 euro l’anno a persona (calcolate per 3 che sono i miei figli che ne usufruiscono). Da considerare poi i costi per i mezzi di trasporto in famiglia che devono essere proporzionali ai membri in funzione del lavoro.

Insomma, bellissimo posto la casa sparsa a Radda in Chianti, ma vivere annualmente non è cosa facile.
Il pensiero corre verso quei posti rurali, quelle case sparse in luoghi d’Italia impervi più poveri e ancor più difficili da raggiungere.

Ebbene, non ci si meravigli che le campagne si spopolano. I giovani vanno verso la città, i lavori moderni sono lì, i vecchi rimarranno finche possono, ma la vedo sempre più bigia sta vita in campagna.

Paolo Cianferoni, Case Sparse Caparsa, 47 – Radda in Chianti (Siena)

Lo stress da competizione

Il Vinitaly si appresta ad aprire i battenti, io non ci sarò, come non ci sarò in altri eventi vinosi più o meno collaterali. Alla mia età mi piace andar per vigna ed anche per famiglia, pur tra mille difficoltà. Il lavoro che faccio è sempre pieno, il tempo per dedicare a eventi così distanti e grandi, mi riesce difficile. Guardare le viti che germogliano mi da più soddisfazione.

Forse i miei figlioli un giorno torneranno, chissà. Però, in definitiva, considerando che il costo della partecipazione si aggira da un minimo di 5000 euro a 10000 euro per una piccola azienda come Caparsa, preferisco investire quei soldi in altri modi. Ma in confidenza la grandezza di quella fiera, dove si aspetta Godot, i soliti discorsi, la speranza di un business, ma sopratutto la competizione esasperante per garantire la continuità o la crescita della propria attività, il traffico, la gente, mi lascierebbe perplesso, oggi.

Sicuramente se partecipassi sarei gagliardo e contento ma alla lunga la competizione che si respira al Vinitaly mi stancherebbe, al ritorno per recuperare mi ci vorrebbero le cannonate. Meglio godere, a volte, della quotidianità.

Dimenticavo…: ho inviato 4 bottiglie, sole solette, di Caparsino Riserva 2011 a Vinibuoni d’Italia lì al Vinitaly, Pad. 12 Stand C2..

Essere fuori norma, in agricoltura.

 Lo spunto di questo post mi è venuto quando qualche giorno fa una mia cara amica che produce vini blasonatissimi di un’azienda vicino a Caparsa mi ha riferito di aver ricevuto la “visita” di due signori, vestiti normalmente, ispettori della sicurezza sul lavoro. Costretta ad assumere due consulenti per cercare di tamponare, è consapevole di andare incontro a una multa per qualsiasi motivo, solo per finanziare la struttura di controllo.

Soprattutto in questo periodo d’intenso lavoro in vigna per un piccolo produttore come me, queste “visite” scatenano sentimenti e riflessioni che possono sconfinare in rabbia. Per quanto mi riguarda io faccio il possibile, ho solo due tre dipendenti avventizi, cerco di fare il meglio possibile, ma sono consapevole di essere fuori norma. Naturalmente parlo di fuori norma secondo le leggi, delle tante che si affollano e s’intrecciano in modo tale di essere sempre fuori norma. Essere fuori norma, dunque, è una regola per chi produce. Sicuramente la maggior parte delle regole s’ispirano a sani principi, ma la problematica che succede è a mio parere questa: come è possibile produrre in modo concorrenziale e globalizzato quando una spada di Damocle, la burocrazia, si aggira sempre sopra la testa di ogni imprenditore, soprattutto piccolo imprenditore?

Esempio: è da 45 anni che vado in vigna e negli ultimi anni penso che posso anche insegnare qualcosa. Allora perché se assumo un operaio dovrebbe frequentare un corso per “saper stralciare” o “legare le viti”, non basto io a farlo? Perché devo pagare qualcuno che forse, senza presunzione ovviamente, ha molta meno esperienza di me? La risposta è semplice: è una questione di soldi, non di sostanza. Questo è solo un piccolo esempio, ma potrei portarne numerosi altri. Parliamo di trattori. Ho tre trattori tutti a norma, tutti con la cintura di sicurezza e rollbar o cabina, io vado sui trattori da 45 anni. Non mi sogno lontanamente d’insegnare o assumere qualcuno per fare, anche in parte, il mio lavoro. Corsi, patentini e 6 ore massime di lavoro al giorno, mi fanno venire il mal di stomaco, tanto vale non assumere nessuno e se mi ammalo io, vada tutto al diavolo.

Il nodo centrale per molti coltivatori è dunque questo: chi me lo fa fare. E allora i giovani non si assumono, si cerca di resistere e i più lungimiranti delocalizzano all’estero.

Anch’io, in segreto, ho una mezza idea di andare in Perù e lasciare tutto qui, che ci si adatti con gli istruttori dei corsi, se qualcuno vuol continuare l’attività. Dirò di più: se qualcuno mi fa girare i cabasisi e mi trova stanco dopo 10/12 ore di lavoro magari sul trattore, io potrei anche perdere la testa abbandonandomi in azioni incontrollate e pericolose.

Dunque, il regime sanzionatorio per ogni questione di lavoro è da abolire.

Piuttosto, occorre un’assistenza statale che funzioni come collaborazione ai fini del miglioramento generale delle condizioni del lavoro e dell’impresa. Con collaborazione si possono diminuire i rischi sul lavoro e non solo (come ad esempio l’Haccp), con armonia. Con una metodologia collaborativa, quando arrivano due distinti signori a controllar piccole imprese, non deve venire ansia e malumore, ma deve venire piacere perché significa che non si è soli, che qualcuno ci vuol aiutare, senza vivere la “Spada di Damocle” dei regimi sanzionatori. Allora si assumerebbe, si avrebbe energie sufficienti anche per tentare di espandersi… si creerebbe un circolo virtuoso a tutto vantaggio della collettività: oggi succede tutto il contrario.

C’è chi dice che in fondo si vuol favorire le imprese di manodopera, che assumono operai mal pagati che ruotano continuamente, ma che evitano tutte le responsabilità e la burocrazia. Forse si. Ho un esempio a Panzano, e non solo, dove si sta licenziando manodopera fissa o fissa/avventizia per affidarsi solo a ditte esterne. Se questo è il futuro, presto ne vedremo delle brutte nelle vigne e nei vini. Le vigne e i vini, l’agricoltura, ha bisogno di personale che “conosca”, che lavori non solo per l’ora di lavoro, con i quali si stabilizzi una continuità e passione lavorativa, altrimenti… addio Italia.

Le storie nascoste del vino.

 

Passato il periodo euforico delle fiere, mi rendo conto come il mondo del vino possiede formidabili forze nell’apparire, nell’estetica, nell’ostentazione di finte patine di leggerezza che tendono a escludere e nascondere tante difficili realtà: ci si dimentica sempre delle migliaia o decine di migliaia degli operai che ogni giorno si occupano del lavoro in vigna e in cantina

In ogni azienda piccola o grande, il vino è sempre il risultato di tante storie diverse, spesso storie di sofferenze, di tragedie anche. Gli operai che si alzano ogni mattina, che spesso lavorano sotto la pioggia, il gelo o il sole cocente otto o più ore al giorno, manualmente, avrebbero tante storie da raccontare, ma nessuno si occupa di loro. Si intervista il vignaiolo, la proprietà, l’enologo, il responsabile delle relazioni, tutte le discussioni si basano sul territorio, esposizione dei vigneti, uso dei legni, tecnica si, tecnica no, bio, quale bio, enologo, agronomo, marketing, vino inteso e descritto in un modo o nell’altro ma mai una volta si raccontano le storie degli operai. Queste storie non sono mai prese in considerazione.

Forse questo strano mondo del vino dovrebbe ripartire da qui, andar per vigne e cantine ad ascoltare le storie dei semplici, che quotidianamente si spezzano la schiena per vivere, in silenzio, e che con il loro lavoro danno lavoro a tante persone che non hanno mai preso in mano una zappa.

La mano del vignaiolo

La mano dell’artigiano vignaiolo non è quella che fa tutto. La mano del vignaiolo è quella che con esperienza riesce a comunicare agli altri operai, il valore del lavoro manuale. Negli ultimi 20 anni il lavoro manuale è stato sacrificato in nome di un non meglio precisato prestigio del “colletto bianco”. Ci siamo riempiti di burocrazia pur di far contenti una classe sociale che vedeva nel lavoro di banca o di ufficio un lavoro gratificante. Molti extracomunitari hanno così trovato spazio in lavori manuali, detti minori, come nei vigneti. Oggi la mano del vignaiolo deve guidare questi operai, nella sperasnza che sempre più gli operai italiani riscoprono il valore della mano, nel vigneto italia.

Fare un nuovo vigneto

 Fare un nuovo vigneto può essere un lavoro colossale. A Caparsa è in corso la realizzazione di 2,2 Ha e devo dire che a parte la stagione primaverile estremamente piovosa che ha ritardato tutti i lavori, è stato necessario, per costruire una parte dei drenaggi ben 6.000 foratoni di laterizio 21x25x25 ! (Oltre a qualche centinaio di metri lineari costruiti con i sassi della vigna). Qui si può avere un’idea di come si costruisce una vigna

Cosa non si fa per un buon bicchiere di vino… 🙂