Esistono due categorie di produttori, al di là degli industriali: chi vinifica esclusivamente le proprie uve e chi compra prevalentemente le uve per poi vinificarle, più o meno alla luce del sole.
Le differenze esistono, eccome. Le due categorie quasi rivaleggiano. Chi compera però ha dei costi fissi certi, può scegliere in diverse zone e ha meno problemi in confronto a chi produce tutto, costretto a fare i conti con le condizioni meteo e mille altre variabili. Chi compera non vede nessun problema, dichiara la gioia di interagire con tanti produttori, esperienze nuove, e di solito non vede di buon occhio chi è purista. Chi si basa solo sulla propria produzione, può offrire vini più variabili, meno lineari, però con più pathos e originalità e vede di malocchio chi opera con metodologie più commerciali.
Sondaggio: Chi preferite?
Ma sei capace a definire artigianale e industriale nel vino una volta per tutte?
Io chi vinifica le proprie uve!
Non c’è una preferenza da dare. Devi solo assaggiare il vino se ti piace o meno. Ognuno ha i propri problemi. Purtroppo i vini fanno gli enologhi. Questo è un dato di fatto. Secondo me.
La legislazione vigente permette ad un viticoltore di acquistare il 49% della propria produzione, come uva o direttamente come vino e continuare a poter legalmente dichiarare in etichetta "Prodotto e imbottigliato all’origine". Questo è un vero e proprio inganno a danno del consumatore (e soprattutto dei viticoltori/imbottigliatori cosiddetti"integrali" cioè coloro che imbottigliano esclusivamente la "farina del proprio sacco") specialmente quando il prezzo dei vini sfusi sono bassi, più bassi dei prezzi di produzione, come ora. Ecco che non è difficile capire che quanto sopra descritto diventa una vera e propria concorrenza sleale tanto odiosa quanto subdola a danno dei produttori integrali.
Personalmente non sono contrario al lavoro dei commercianti del vino e anche dei cosiddetti "ibridi" cioè coloro che producono uva e vino e contemporaneamente acquistano partite di vino – c’è ne sono molti che vendono prodotti validissimi- ma è davvero insopportabile, sotto tutti i punti di vista, (morale ma anche economicamente,) che la legislazione attuale appoggi una vera e propria truffa a danno anche del consumatore e che non gli consente distinguere chiaramente se il vino che acquista è realmente prodotto all’origine o meno. Questo almeno se le parole, aldilà dei cavilli legali, hanno ancora un significato.
Alessandro, ci proverò, anche se le sfumature sono tante e non è facile. Comunque già il commento di Cristiano quì avanti, è una grande chiarezza di verità:
Tutto legittimo, ma occorre più chiarezza e semplicità per chi acquista, sapere a colpo d’occhio le differenze tra integralmente prodotto, parzialmente prodotto o interamente acquistato. Poi il consumatore avrà gli strumenti per guiudicare. Attualmente non è possibile.
Bravo Cristiano, con poche parole hai centrato la questionev
Grazie Paolo.La questione come sai mi sta molto a cuore. La differenza tra produttori artigianali e semi-artigianale è qualcosa di poco considerata, anche tra gli addetti ai lavori, eppure le implicazioni sono importanti. Eppure nella nostra denominazione bisognerebbe avere il coraggio di prenderne atto, specialmente ora che si comincia a parlare di zonazione e menzioni comunali, altrimenti si rischia di fare davvero un brutto pasticcio. Capisco che è un’argomento spinoso, e forse tabù per taluni, ma se l’ artigianalità è un valore che il mercato è disposta a premiare allora è giusto che venga distinta dalla semi-artigianalità che converrai è un bel po’ diversa. Non meglio, non peggio, qualitativamente parlando, ma sicuramente diversa, questo sì.
E non mi si venga a dire che già oggi la legislazione consente riportare in etichetta la distinzione tra "integralmente prodotto e imbottigliato…" e "prodotto e imbottigliato all’origine" che mi metto a ridere….
Antoine, siamo in Italia e ogni qualvolta si tenta di fare proposte ci si scontra con un sistema lobbistico che è un muro di gomma. Cominciare a fare capire, anche se solo tra gli appassionati, che esiste una differenza tra il produrre vino con uve proprie, con tutto ciò che comporta, anche in termini di "rischio d’impresa" per i notevolissimi capricci delle stagioni, e produrre uva e vino, integrando la produzione con acquisti esterni, in maniera peraltro praticamente invisibile visto la legislazione attuale sarebbe qualcosa di importante . Grazie Paolo per questo post.
Riuscire invece a pubblicizzare la dizione "integralmente prodotto…", nella nostra denominazione invece temo che sarà praticamente impossibile visto che è stato speso (bruciato?) per distinguere i vini della Gran Selezione e pertanto presto finirà per diventare qualcosa che in realtà non è: un presunto indicatore di qualità superiore. Temo che così il concetto di "vino di territorio" si allontani inesorabilmente ancora un po’ di più dalla denominazione.
Non so dove è passato il mio post, ma non è grave si può intuire dalla risposta di Cristiano.
Risolvere penso che non si risolve niente appunto, per questo proponevo di lavorare per una informazione seria e magari di poter meglio evidenziare poi la dicitura integralmente prodotto… usanod altri centri di potere (realtivo) come la FIVI o le organizzazione di categoria!
Faccio una provocazione: se la distinzione è basata sul fatto se uno vinifica le proprie uve allora i più grandi artigiani del Chianti Classico sono Ruffino Antinori etc… che acquistano molto, ma hanno anche molti vigneti; e possono imbottigliare "integralmente prodotto all’origine" in quantità notevole.
Superfici sempre maggiori di vigneti sono proprietà di grandi gruppi, e questo va aumentando. La definizione di sottozone aiuterebbe a valorizzare l’origine delle uve indipendentemente da chi imbottiglia il vino. Darebbe più valore al lavoro del viticultore.
Ciao Roberto, Antinori e Ruffino non credo si possono definire artigiani perchè non lo sono nella loro mentalità ancor prima che nei loro prodotti che saranno certi di alta qualità, ma neanche per sogno artigianali ! Certo, occorre intendersi per cosa significa essere "artigiani" del vino.
Secondo me essere "artigiani" del vino significa coltivare IN PRIMA PERSONA le proprie vigne e successivamente vinificare ESCLUSIVAMENTE la propria uva e succesivamente dopo un’adeguata fase di maturazione provvedere ad imbottigliare e commercializzare il frutto del proprio lavoro. Ci saranno annate buone ed abbondanti ed altre difficili ed estremamente magre, ma l’artigiano si deve accontentare, fa del suo meglio a trasformare ciò che l’annata gli ha concesso. Certe volte il vino sarà buono altre volte meno, ma quello che non dovrebbe mai mancare in questi vini, sempre secondo il mio modo di vedere, è un’espressione di veridicità indiscutibile anche a costo di rusticità e quello che taluni leggerebbero talvolta come imperfezioni tecniche. Questi sono i vini artigianali: talvolta sublimi altri francamente imbarazzanti, ma sempre fedele cartine al tornasole del loro territorio d’origine. Una ricchezza per la credibilità della denominazione da non sottovalutare.
Se non si cercherà in qualche modo di supportare il lavoro di tanti veri produttori artigiani come questi che ho descritto, e c’è ne sono parecchi anche se sono silenziosi per natura, nel Chianti Classico si rischia che molti finiranno per fallire e questo sarebbe un’ enorme perdita per la denominazione, tutta.
Cosa stavi dicendo Roberto, Antinori e Ruffino artigiani ?
Era ovviamente una provocazione. Sono d’accordo su quasi tutto, ma quello che scrivi non è risolvibile cambiando le regole dell’etichettatura o della denominazione. E comunque ci sono anche dei "piccoli" artigiani che il territorio non lo esprimono affatto.
Penso che in etichetta definire vino artigianale o semiartigianale o industriale sia fuorviante e difficile al momento: chi è interessato alle differenze può scegliere approfondendo la conoscenza del singolo produttore, in modo facile via internet. A mio avviso, invece, per il bene collettivo della denominazione Chianti Classico, resta molto importante la riconoscibilità zonale del vino: Radda, Monti, Castellina, Lamole ecc.. Il nostro territorio essendo molto conosciuto e apprezzato darebbe facili e positive ricadute anche al consumo di massa di vino Chianti Classico .
Faccio una provocazione anchio.
Perchè artigiano? quale é la scala valori?
agricoltore, artigiano, artista? AAA l’ha già inventato qualcuno
Ma va!
ognuna delle categorie ha le sue eccelenze e specifiche!
Le conoscete voi le zone artigianali?
cosè un artigiano oggi? un piccolo industriale….!
forse bisogna rivedere il vocabolario, con l’evoluzione dei tempi!
@Roberto, visto che non si risolve come dici tu "cambiando le regole dell’etichettatura o della denominazione" allora perché proporre le menzioni comunali quando già oggi sono riportate obbligatoriamente nella ragione sociale del produttore ? A me sembrerebbe che chi veramente ci guadagnerebbe sarebbero i commercianti che otterrebbero la facoltà di imbottigliare la denominazione comunale più appetibile del momento. Francamente a me di riportare la Menzione Comunale in etichetta non me ne potrebbe fregare di meno per contro mi darebbe molto fastidio vedere a qualche hard discount Chianti Classico con menzione comunale chenessò "Panzano"(per dirne una) a prezzo da saldo.Le Menzioni Comunali rischierebbero così di esacerbare i già esistenti ed evidenti conflitti tra i produttori/imbottigliatori ed i commercianti. I produttori/imbottigliatori secondo me pertanto farebbero un autogol clamoroso ad appoggiare una simile proposta.
@Paolo, so benissimo che la differenze tra artigianale o semi-artigianale significa poco in termini di possibilità di regolamentazione, (anche se nella sostanza non è così), pertanto accetterei le Menzioni Comunali solo a condizione che si utilizzassero galli diversi per contrassegnare vini dei produttori/imbottigliatori rispetto a quelli utilizzati dai commercianti evidenziando la categoria di appartenenza prevista nello Statuto.
Un giorno non troppo lontano però potrebbe valere la pena creare un Consorzio nuovo (con tanto di gallo, visto che appartiene alla denominazione e non al Consorzio) riservato ai soli viticoltori/imbottigliatori senza tanti compromessi.Sarebbe una soluzione stuzzicante….
Contadino-imbottigliatore. Meglio ?
Guarda che qui si sta parlando solo di comunicazione, non assolutamente di qualità…
Per cui le parole hanno importanza e riflettere sul concetto mi sembra una cosa seria.
Seria come la gran selelzione….. cosa fate con questa categoria, detto per inciso?
Io per ora la ignoro, mi incasina la comunicazione e basta, ed infilare una terza categoria qualitativa mi sembra impossibile, come lo è anche per i clienti!, ameno di sminuire seriamente il chianti classico base, forse era quella l’idea?
Il punto non è solo di indicare in etichetta il comune o la frazione: si tratta di creare un gradino superiore al semplice CC, caratterizzato dall’identificazione geografica dell’origine delle uve e più restrittivo. Come creare un filtro di ingresso è tutto da vedere e non sarà semplice. L’obbiettivo è anche creare una categoria in cui se vendo una partita sfusa di qualità e di una sottozona specifica questa ha un valore maggiore e quindi un prezzo maggiore perchè può essere imbottigliata come sottozona. Così funziona altrocìve e così potrebbe funzionare in CC. Si creerebbe un circolo virtuoso che incentiva la qualità. Gli imbottigliatori avranno più opzioni, comprare le basi e venderle come CC; comprare le sottozone e imbottigliarle come tali. Nessuno vende a poco se può vendere a prezzi più remunerativi. E’ soprattutto un fatto di trasparenza: già ora ci sono qualità molto diversificate in zona. Però vendendo in bottiglia si fa fatica ad ottenere un prezzo decente perchè c’è chi vende un vino DELLA STESSA CATEGORIA a prezzi molto più bassi. Vendendo sfuso ancora peggio perchè la qualità non viene riconosciuta come valore, il prezzo è appiattito senza quasi premio sulla qualità. Con le sottozone potrebbe cambiare.
@Antoine, Gran Selezione. Ti devo confessare che ancora non ho le idee chiare, quando avrò verificato i requisiti per questa categoria, andrò in cantina e vedrò quali vini potranno accedervi (capito Roberto qual’è il problema ?) Farei anzi una domanda al Consorzio: ma se il vino ha i requisiti posso fare la "selezione" al posto del base ?
Roberto, ho letto con attenzione il tuo commento, tuttavia come tu stesso hai già peraltro ammesso, i tuoi ragionamenti sono invalidati fin dalle fondamenta da un’anello debole e che di conseguenza fa cadere tutto quanto ci poggia sopra.Mi dispiace essere così brutale ma tant’è.
La creazione di una piramide qualitativa è possibile essenzialmente solo in due casi. Il primo è quando i prodotti sono caratterizzati da un diversità merceologica ben definita ed inconfondibile, come nel veronese dove la piramide è rappresentata (schematizzo) da un Valpolicella base, Ripasso, Amarone/Recioto. Ogni vino è inconfondibile (e anche non "commutabile" tra di loro) si ha di conseguenza una vera piramide qualitativa. Questo modello non è applicabile al Chianti Classico visto che è notoriamente un "monoprodotto".
Il secondo caso è quello della Borgogna dove nei secoli si è creata una gerarchia molto complessa e "micrometrica" dove il mercato è in grado di riconoscere qualitativamente, e di conseguenza remunerare proporzionalmente i diversi vini, anche se bisogna osservare che analiticamente gli umili Bourgogne rouge sono assolutamente indistinguibili dai Gran Cru.
Se è vero che la qualità vera è qualcosa di inafferabile analiticamente allora come pensi di "creare un gradino superiore al semplice CC ?
Un buon esempio è la piramide del prosecco, che in pochi anni ha creato categorie distinte, a prezzi crescenti, riconosciute dal mercato. I modi ci sono se c’è la volontà.
E hai centrato il problema che è quello che il CC non sai più "monoprodotto"
Fermo, frizzante, spumante 🙂
Almeno un CC Bianco?
La borgogna non la prenderei troppo come esempio… certi appezzamenti son talmente piccoli che è un mercato troppo particolare.
Senza parlare di tutto il sistema degli acquisti da parte di imbottigliatori…
Ci sono produttori che vendo il loro miglior vino a conoscenti, da generazioni, senza etichetta a prezzi molto alti, e poi vendono il vino piccolo col nome di quello venduto agli amici, ai commercianti etc etc, questo moltiplicato con i parchet, i comuni, i 1er cru, i cru bourgeois alla fine nessuno ci capisce più niente… ma per arrivarci ci vogliono secoli, e la vicinanza di un mercato privato importante.
Continuo a dire che senza riuscire ad efficacemente "creare un gradino superiore al semplice CC" sono tutti ragionamenti campati in aria. Ho preso ad esempio proprio la Borgogna perchè ha due monoprodotto: rosso e bianco, (che mi perdonino i borgognofili per la volgare semplificazione) eppure lì riescono a sostenere un gerarchia rigidissima e piuttosto credibile, propio perchè consolidata nei secoli.
Vorrei proprio sapere come potrebbe essere possibile la distinzione tra CC "con menzione comunale" da CC base ?
Secondo me, a meno di non introdurre una classificazione gerarchica dei vigneti studiata a tavolino risulta impossibile. E, come ben sappiamo procedere ad una classificazione dei vigneti da noi è una strada impercorribile. D’altra parte introdurre piuttosto dei parametri analitici sarebbe come riuscire a dividere i Bougogne rouge dai Gran Cru in base ad analisi chimiche. Assurdo.
Allora ?
Ma sulla denominazione comunale, forse l’interesse non è per forza creare una gerarchia. Non so esattamente perchè è nata questa mania della gerarchia di cui la Gran Selezione è l’esempio più eclatante.
Le "differenze" comunali, permettono di creare interesse, e raccontare di più, movimentare la scelta, scoprire i vari terroir, le differenze che noi cerchiamo già di esaltare sia nelle annate che nei vigneti… Non la qualità nell’assoluto, ma quella della differenza….
Io ci vedo solo un grossissimo problema ed è quello dell’onesta dei produttori, mi dispiasce proprio dirlo, ma perchè crei interesse deve essere vero, per cui o c’è un controllo che tutti sappiamo inefficace, o c’è un onestà da creare….
Perchè se per definire un CC comunale basta la sede dell’azienda, ci prendiamo tutti in giro sulle varie tipicità, e andrebbe fatta una mega festa se tutta l’uva venisse già solo dal territorio del CC dimenticando i comuni!
Appunto Antoine la smania di voler creare delle gerarchie a tutti i costi e cercare di imporre questa benedetta "piramide qualitativa" pensando di poter segmentare istantaneamente l’offerta e risolvere tutto subitaneamente è legata ad un concetto fasullo del "tutto e subito" ma il Chianti Classico è destinato comunque vada a rimanere un monoprodotto con sfumature qualitative spesso discordanti nelle varie espressioni. Un’eventuale gerarchia, se deve essere qualcosa di genuina deve potersi sviluppare autonomamente e non essere imposta dall’alto o frutto di artifici vari.Per fare questo e per i motivi prima enunciati nei commenti precedenti, l’unica strada è seminare per il futuro ed attendere che il Tempo faccia il suo corso, solo così si può sperare di poter rendere fruibile dall’esterno l’enorme potenziale del territorio senza perder per strada le incredibili sfumature spesso discordanti fatte di potenza tanniche ma anche di delicatezze aromatiche,immediatezze e longevità, tutti concetti per lo più astratti, spesso in antitesi, ma assolutamente essenziali sul piano della Qualità e che rischiano invece di venire altrimenti imperdonabilmente persi per strada.Se penso ai vini che "uscivano" dal nostro CC e quello che oggi viene prodotto i passi in avanti in tema di "espressione territoriale" fa ben sperare per il futuro. Non sono solo i produttori che devono maturare ma anche il mercato stesso con cui si interfacciano, il vino prodotto è frutto di una comunicazione bi-direzionale.
Per questo motivo l’unica strada percorribile, secondo me, è tentare di rendere leggibile il territorio dall’esterno indicando chiaramente in etichetta CHI imbottiglia: produttore/imbottigliatore, commerciante, o cantina sociale e indicare la provenienza dell’uva: menzione comunale, sotto comunale, vigneto, senza tante aspettative immediate e pretese eccessive su un ritorno immediato. Il resto lo farà il Tempo scoprendo naturalmente, (sentito parlare di selezione naturale ?) le vocazioni e le caratteristiche dei vari territori. Il Tempo è galantuomo.
Alternative non ne vedo.
Cristiano,tutto questo ultimo tuo post mi trova d’accordo, ma la conclusione che l’unica strada percorribile è indicare chi imbottiglia mi lascia perplesso. se è un indicazione specifica del vino è per sua natura accessibile anche agli imbottigliatori quando imbottigliano un vino dai propri vigneti. L’indicazione sul vino non può che riguardare il vino.A me sembra che la logica conclusione del tuo discorso dovrebbe essere la zonazione, comunale o altra. L’obiezione che qualcuno può imbrogliare e quindi non va fatta mi sembra che vale per qualunque tipo di regola, non è un buon motivo per non avere regole utili. Comunque il dibattito è utile, e il Consorzio pare proprio che imboccherà questa strada. Come, sarà materia di lavoro nei prossimi mesi.
Concordo che la mia obiezione che "qualcuno" può imbrogliare vale per tutte le regole.
Ma per farsi che sia leggibile ed abbia successo un percorso di zonazione che sia di vigna, di comune o altre sottozone, deve nascere su una base sana e reale. Se non è leggibile non ci sarà successo.
Mi riccordo una degustazione dei vini fatta dal consorzio al consorzio, l’ho fatta insieme ad un giornalista. Premetto ancora che non conosco gli enologi e ancora meno il rapporto di enologi con le aziende.
Dopo un giro dico all’amico giornalista ma come si fa a riconoscere i terroir ed i comuni, e li cito 2 liste di vini di comuni diversi ma che mi sembravano parenti. E lui mi risponde ma lo sai che hai tirato fuori due enologi….
Con questo voglio solo dire che credo anchio che sia una strada da seguire, ma ci deve essere uno sforzo serio da parte degli produttori per esprimere il territorio e non fare il "meglio vino del mondo".
Antoine, Chi truffa i consumatori rimane un truffatore. Punto. Molto spesso certe cose però nella denominazione non vengono fatte da criminali incalliti ma per una mancanza di cultura o/e e di scarsa sensibilità . A Montalcino ci è voluto uno scandalo per cambiare radicalmente l’atteggiamento di produttori, critica e consumatori, la conseguenza è che è cambiato proprio la cultura riguardo il Sangiovese che ha riguardato di conseguenza anche il CC. Certo non è tutto perfetto, ma oggi i tempi sono più maturi rispetto anche a pochi anni fa anzi occorre proprio imboccare certe strade se vogliamo recuperare credibilità e interesse. Chi si ostina a cercare di fare i cosiddetti " migliori vini del mondo", iper-colorati e legnosi appare oggi anacronistico e decisamente out, a prescindere dai metodi di produzione più o meno leciti. Il vento è cambiato. Poi se proprio vogliamo spendere una parola per la legalità bisognerebbe evitare che la dichiarazione di produzione venga presentata così posticipata rispetto alla fine della vendemmia. Sembra quasi un invito a delinquere….