L’agricoltura non è centrale, oggi.

 

L’agricoltura non è più considerata una questione strategica. Ormai culturalmente. Si pensa che sarà sempre possibile importare con la forza o con i quattrini il cibo. Si pensa che l’indirizzo industriale sia vincente. Si pensa che l’indirizzo Hi-Tech sia vincente. Perdere i piccoli produttori in Italia e nel mondo, quelli che fanno le noci, quelli che fanno le castagne, quelli che fanno il grano, l’erba medica, l’orzo, il vino, il latte, il grano, non interessa a nessuno. Tanto sta roba basta andare al supermercato a comperarla. Si pensa che l’industria agricola può sostituire le conoscenze individuali, territoriali e culturali tramandate di generazione in generazione.

Non sono d’accordo.

Mi rifiuto di pensare che il progresso non si basi anche su un’agricoltura diffusa piccola, sostenibile, anche microscopica a volte, ma sempre ricca di valori di conoscenza da proteggere gelosamente, valori su cui si fondano e si reggono le collettività.

E’ per questo che l’unità di tutti i piccoli agricoltori è e sarà decisiva per uno sviluppo più armonioso dell’Italia e di tutte le nazioni del mondo, al di là delle influenze politiche e religiose.

I piccoli potranno, se uniti, indirizzare le politiche agricole. Altrimenti, Addio.