Meglio un vino di territorio

Meglio un vino di territorio che un vino industriale.

Veronelli forse scriverebbe così invece di usare il termine di contadino. Particolarmente appropriato oggi, dopo il gran rumore del vino Chianti Classico venduto da LIDL a euro 3,99. Oggi come non mai occorre differenziarsi sul mercato che, ancora forse non per molto, oltre agli industriali è fatto anche da artigiani che lavorano e si spaccano la schiena nei territori e che rappresentano il presidio “vero” dell’ambiente e espressione dei territori, nel bene e nel male.

La denominazione vino Chianti Classico esce un poco imbarazzata da quanto circola in rete. Giustamente. L’attuale piramide pseudo-qualitativa dove all’apice c’è la Gran Menzione, e poi la Riserve e poi il vino base, si scontra con la realtà dove la confusione regna e che questa piramide ha accentuato. Dove dominano i colpi della potenza e unità dei grandi imbottigliatori che a volte sono anche produttori. Sono loro che attraverso le banche decidono i prezzi e il mercato della maggior parte del vino. E sono gli artigiani che spesso subiscono il mercato, grazie alla frammentazione e alla difficile visione unitaria: la voce dei vignaioloi, dei piccoli produttori rimane sempre indietro.

Quindi non demonizzo il ruolo degli industriali, anzi. Non denigriamo chi, industrialmente, offre vini a basso costo. Questi vini, frutto di vendite di vino sfuso al ribasso e da imprenditoria molto sviluppata, possono senz’altro soddisfare consumatori che cercano un minimo di qualità a prezzi bassi. Ad ognuno il proprio ruolo.

Ma occorre trasparenza nella confusione attuale dell’offerta del vino Chianti Classico. A parte la confusione tra Chianti e Chianti Classico, si può senz’altro affermare che oggi la valorizzazione dei vini passa attraverso il territorio. Visitare le cantine, conoscere i luoghi, le persone e i vignaioli è quanto di meglio il mondo del vino offre in Italia. Allo stesso tempo per la sopravvivenza dell’artigiano del vino, che produce e presidia i territori, confondersi con queste grandi realtà imprenditoriali è deprimente e drammatico. Non si può paragonare i costi di produzione e distribuzione tra chi produce poche migliaia di bottiglie e chi ne imbottiglia milioni. Quindi crea scandalo veder vendere alla distribuzione vini a prezzi così bassi che a un piccolo artigiano, appunto, viene un groppo alla gola.

Io ritengo che lo spazio ci sia per tutti. Per questo motivo è urgente e mi riferisco alla mia denominazione di riferimento Chianti Classico, ma anche in generale per altre realtà vitivinicole italiane, il riconoscimento della diversificazione visibile in etichetta tra produttore/imbottigliatore di località e semplice imbottigliatore. Dunque la differenza deve essere netta e riconoscibile al consumatore. Nel territorio del Chianti Classico questa operazione sarebbe veramente facile, cominciando con le Menzioni Comunali, embrione della zonazione, che già esiste di fatto grazie a Alessandro Masnaghetti con la sua mappa.

La differenza dei territori, la differenza nei territori, la differenza dei produttori. La differenza tra un vino di commerciante e di territorio. Questo è il futuro.

Già in Francia, in Borgiogna, tutto questo è netto: la bottiglia del “negociant” è visibilmente riconoscibile dal produttore/imbottigliatore e curiosamente spesso il negociant offre vini migliori! Sarà dunque il mercato a decidere cosa acquistare, con chiarezza. Una bellezza.

Oggi il mondo reale gira velocemente, le politiche sono sempre in ritardo; nel caso del Consorzio vino Chianti Classico le decisioni sono sempre lente. Io spero solo che i comunicatori, i giornalisti aiutino la realizzazione di questo progetto e costringano in qualche modo a far prendere velocemente decisioni in merito.