I gggiovani, come scrive questa parola Raffaella Guidi Federzoni (ex Nelle Nuvole), sono coloro che ci meravigliano: parlano spesso un linguaggio incomprensibile per noi vecchi, sono nativi digitali, ormai studiano e comunicano sugli smartphone e non più sui libri, hanno abbandonato addirittura i computer tradizionali come noi li conosciamo, considerano la società vecchia come vecchi noi siamo in effetti.
Però dolenti o nolenti saranno coloro che guideranno l’Italia e il mondo, io ne ho cinque in famiglia e qualcosa ne so.
Per i gggiovani il vino non è più il prodotto alimentare dei nostri nonni. Con l’abbondanza di cibo a disposizione è diventato più un prodotto estetico, ci si avvicina molto alla moda, l’importanza del brand, della marca, è importante.
Il vino buono, il più possibile ottenuto senza prodotti chimici, può anche rappresentare un ancora di salvezza e consapevolezza per i giovani che vivono in una epoca con fiumi di coca e alcool scadente. Insegnare loro che l’alcool crea danni, che nel vino sì c’è l’alcool ma se saputo gestire alimentarmente può essere utile, piacevole, senza troppi rischi di alcolismo, deve essere il messaggio da valorizzare. Non a caso nella dieta mediterranea, patrimonio culturale immateriale dell’umanità dell’Unesco, rientra anche il vino.
Quando gli studenti americani visitano Caparsa, il messaggio che cerco di trasmettere é: il vino non è solo un mezzo per andar fuori di testa ma può essere un prodotto molto salubre, allegro e godereccio a differenza delle tantissime sostanze pericolose troppo abusate in circolazione.