Chi compra e chi produce: chi preferite?

Esistono due categorie di produttori, al di là degli industriali: chi vinifica esclusivamente le proprie uve e chi compra prevalentemente le uve per poi vinificarle, più o meno alla luce del sole.

Le differenze esistono, eccome. Le due categorie quasi rivaleggiano. Chi compera però ha dei costi fissi certi, può scegliere in diverse zone e ha meno problemi in confronto a chi produce tutto, costretto a fare i conti con le condizioni meteo e mille altre variabili. Chi compera non vede nessun problema, dichiara la gioia di interagire con tanti produttori, esperienze nuove, e di solito non vede di buon occhio chi è purista. Chi si basa solo sulla propria produzione, può offrire vini più variabili, meno lineari, però con più pathos e originalità e vede di malocchio chi opera con metodologie più commerciali.

Sondaggio: Chi preferite?

 

Gli Artigiani del vino sono..

Maledetti dai tecnici. Disprezzati dai Menager. Improvvisatori. Istintivi. Passionali. Lavoratori. Farfalloni. Scostanti. Piccoli. Umili. Goduriosi. Non si fanno convincere dalle promesse. Pensano che la Natura sia sopra la comprensione umana. Vivono il vino. Non gli interessa il pollaio degli avvinazzati. Gli piace la concretezza. Gli piacciono i bambini. Amano la vita. Non sono egoisti. Creano. Sbagliano. Piangono. Soffrono. Ridono. Si fanno felici. Siamo noi… gli artigiani del vino.

Radda in Chianti Superstar

Radda in Chianti per Storia e vocazione del Territorio sta vivendo un momento magico nel mondo dei migliori vini del Mondo. Tutte le guide del vino, tutti gli esperti, ormai ritengono questo piccolo comune del Chianti ai vertici della produzione di qualità paragonabile solo ai vini prodotti a Montalcino.

A Radda in Chianti ci sono Piccoli ma altrettanto bravi Grandi produttori, da Roberto Bianchi (Val delle Corti) a Zonin (Castello di Albola), da Piero Lanza (Poggerino) a Castello di Volpaia, da Riccardo Lanza (Pruneto) a Daniele Ciampi (Monterinaldi), potrei proseguire mettendoci anche me, e mi scuso per tutti gli altri che non ho nominato (come ad esempio Michele Braganti di Monteraponi…), ma meglio che vi affidate ai consigli degli esperti.

A Radda in Chianti anche i Nobili hanno smesso di fare i Nobili per rimboccarsi le maniche! (Piero Lanza e Francesco Bertozzi del Barlettaio).

A Radda in Chianti c’è anche uno dei più grandi, bravi ed esperti costruttori di vigne:  Fabio Fronti 100% Raddese (Agrichianti), che ha ricostruito la maggior parte dei vigneti non solo di Radda ma di mezzo Chianti negli ultimi venticinque anni e più. Con la sua esperienza e conoscenza dei luoghi e della agronomia ha contribuito notevolmente a ricostruire un prestigio meritato.

A Radda in Chianti giovani produttori si stanno facendo meritatamente conoscere con vini di assoluta eccellenza (Diego Finocchi con L’Erta di Radda e Angela Fronti con Istine)

A Radda c’è il monumento al Sangiovese: Montevertine.

Ma ì che c’è a Radda in Chianti?

Tutti qui a Radda si danno da fare e più o meno consapevolmente hanno fatto squadra insieme: artigiani, viticoltori, grandi imprenditori, turismo: sarà il territorio, la cultura che ispira questo meraviglioso luogo, sarà lo spirito di riscatto dopo 25 anni di completo abbandono a fine guerra che oggi siamo orgogliosi di gridare tutti assieme:

W RADDA!

I circuiti economici e politici del vino

Sono sempre stato indipendente nel pensiero, nel lavoro e nel mercato. Mi rendo conto però che esistono veri e propri circuiti economici che si sovrappongono a quelli politici, circuiti di destra, di sinistra, di centro, religioso, dove gli affari appunto ruotano paralleli alla politica. Chi cerca di vendere il vino, oppure ha bisogno di finanziarsi, oppure ha bisogno di assistenza, solitamente si rivolge sempre alle stesse persone che nei territori in qualche modo gestiscono anche la politica. Mi salta in mente il sistema Siena, oppure Lega Nord al Nord, come esempio.

Lecito, naturalmente. E anche democratico.

Però qualcuno può perdere la testa infilandosi e sbandierando ideologie politiche che nulla hanno a che vedere col vino, per rimanere nel vortice economico e politico del proprio circuito.

 

Essere fuori norma, in agricoltura.

 Lo spunto di questo post mi è venuto quando qualche giorno fa una mia cara amica che produce vini blasonatissimi di un’azienda vicino a Caparsa mi ha riferito di aver ricevuto la “visita” di due signori, vestiti normalmente, ispettori della sicurezza sul lavoro. Costretta ad assumere due consulenti per cercare di tamponare, è consapevole di andare incontro a una multa per qualsiasi motivo, solo per finanziare la struttura di controllo.

Soprattutto in questo periodo d’intenso lavoro in vigna per un piccolo produttore come me, queste “visite” scatenano sentimenti e riflessioni che possono sconfinare in rabbia. Per quanto mi riguarda io faccio il possibile, ho solo due tre dipendenti avventizi, cerco di fare il meglio possibile, ma sono consapevole di essere fuori norma. Naturalmente parlo di fuori norma secondo le leggi, delle tante che si affollano e s’intrecciano in modo tale di essere sempre fuori norma. Essere fuori norma, dunque, è una regola per chi produce. Sicuramente la maggior parte delle regole s’ispirano a sani principi, ma la problematica che succede è a mio parere questa: come è possibile produrre in modo concorrenziale e globalizzato quando una spada di Damocle, la burocrazia, si aggira sempre sopra la testa di ogni imprenditore, soprattutto piccolo imprenditore?

Esempio: è da 45 anni che vado in vigna e negli ultimi anni penso che posso anche insegnare qualcosa. Allora perché se assumo un operaio dovrebbe frequentare un corso per “saper stralciare” o “legare le viti”, non basto io a farlo? Perché devo pagare qualcuno che forse, senza presunzione ovviamente, ha molta meno esperienza di me? La risposta è semplice: è una questione di soldi, non di sostanza. Questo è solo un piccolo esempio, ma potrei portarne numerosi altri. Parliamo di trattori. Ho tre trattori tutti a norma, tutti con la cintura di sicurezza e rollbar o cabina, io vado sui trattori da 45 anni. Non mi sogno lontanamente d’insegnare o assumere qualcuno per fare, anche in parte, il mio lavoro. Corsi, patentini e 6 ore massime di lavoro al giorno, mi fanno venire il mal di stomaco, tanto vale non assumere nessuno e se mi ammalo io, vada tutto al diavolo.

Il nodo centrale per molti coltivatori è dunque questo: chi me lo fa fare. E allora i giovani non si assumono, si cerca di resistere e i più lungimiranti delocalizzano all’estero.

Anch’io, in segreto, ho una mezza idea di andare in Perù e lasciare tutto qui, che ci si adatti con gli istruttori dei corsi, se qualcuno vuol continuare l’attività. Dirò di più: se qualcuno mi fa girare i cabasisi e mi trova stanco dopo 10/12 ore di lavoro magari sul trattore, io potrei anche perdere la testa abbandonandomi in azioni incontrollate e pericolose.

Dunque, il regime sanzionatorio per ogni questione di lavoro è da abolire.

Piuttosto, occorre un’assistenza statale che funzioni come collaborazione ai fini del miglioramento generale delle condizioni del lavoro e dell’impresa. Con collaborazione si possono diminuire i rischi sul lavoro e non solo (come ad esempio l’Haccp), con armonia. Con una metodologia collaborativa, quando arrivano due distinti signori a controllar piccole imprese, non deve venire ansia e malumore, ma deve venire piacere perché significa che non si è soli, che qualcuno ci vuol aiutare, senza vivere la “Spada di Damocle” dei regimi sanzionatori. Allora si assumerebbe, si avrebbe energie sufficienti anche per tentare di espandersi… si creerebbe un circolo virtuoso a tutto vantaggio della collettività: oggi succede tutto il contrario.

C’è chi dice che in fondo si vuol favorire le imprese di manodopera, che assumono operai mal pagati che ruotano continuamente, ma che evitano tutte le responsabilità e la burocrazia. Forse si. Ho un esempio a Panzano, e non solo, dove si sta licenziando manodopera fissa o fissa/avventizia per affidarsi solo a ditte esterne. Se questo è il futuro, presto ne vedremo delle brutte nelle vigne e nei vini. Le vigne e i vini, l’agricoltura, ha bisogno di personale che “conosca”, che lavori non solo per l’ora di lavoro, con i quali si stabilizzi una continuità e passione lavorativa, altrimenti… addio Italia.

La forma e la sostanza

Gli ultimi vent’anni hanno segnato la forma. Le donne vestite in un certo modo, la moda che asseconda sapientemente le forme, le veline alla tv che ispirano le teenagers, ma sopratutto la burocrazia cha ha inseguito la formalità, dimenticando la sostanza delle cose quotidiane, delle relazioni, degli affari, degli affetti, ha prodotto un’aberrazione che tutti noi viviamo quotidianamente. Ho sempre sostenuto che una bella donna occorre vederla nuda e non vestita da Armani per apprezzare, una donna vestita con i vestiti del mercato e scorirla bella al naturale per me avrebbe più attrazione… ma evidentemente non è così. Questa è una metafora ironica per noi amanti del vino, poichè le cose si ripetono: una bella bottiglia con tappo lungo, etichetta dell’ultimo design, packaging e marketing aggressivo fa più “mercato” di una bottiglia leggera, etichetta artigianale, packaging riciclato. Il vino è secondario.

Ma tutto questo non lo dico perchè voglio fare il ganzo e naturalemete non voglio offendere nessuno, nemmeno la Santanchè che ho riportato in foto trovata liberamente in internet: ognuno ha i suoi diritti e i suoi spazi. Voglio solo cercare di far capire come oggigiorno la forma è dominante in ogni cosa: l’apparenza delle persone, i fogli della burocrazia, il lavoro, la sicurezza, la tv… tutti, io compreso, siamo coinvolti.

Sta roba deve finire. Ma finirà solo quando un popolo intero cambia.

 

Vitis Vinifera di 2400 anni a Radda

La targhetta posta accanto alla provetta recita: “Acini carbonizzati di Vitis Vinifera” scoperti sul Poggio alla Croce a Radda in Chianti, ma non dice che quei minuscoli tre acini hanno 2.400 anni. Penso che una testimonianza del genere così antica nessun territorio vitivinicolo, può vantare. Infatti la testimoianza più antica sembra sia una sostanza secca proveniente da uva rinvenuta in una giara datata 7.000 anni in Iran, ma certo lì il vino non è oggi prodotto.

Non è quindi un caso che Radda in Chianti e il suo territorio ancora oggi dopo migliaia di anni sia al centro dell’attenzione dei vini del mondo. La vite quì ha continuato in molti modi a perpetuarsi, fino ai nostri giorni. Pensare che gli Etruschi coltivavano la vite, consumavano e vendevano il vino fino a farlo giungere in luoghi impossibili da pensare, è entusiasmante. Dopo almeno 2.300 anni ancora accade, documentato.

Al Museo di Castellina in Chianti.

C’è alcol e alcol e c’è vino e vino

Sono stato recentemente in Svizzera, ma non occorre andare tanto lontano per capire che la stragrande maggioranza dei consumatori non conosce le differenze tra le bevande alcoliche. L’attrazione fatale evidente non è nel consumo consapevole, ragionato e salubre di una bevanda alcolica, in particolare il vino, piuttosto è un consumo per dimostrare agli altri che non si beve l’acqua, oppure per godere dell’ebbrezza più perversa, oppure per evitare di affrontare i più svariati problemi, spesso quelli familiari. Si beve qualsiasi bevanda con alcol per arrivare a dormire la sera e per trascinarsi in una routine, necessaria per andare avanti. Gli alcol cattivi però sono devastanti, riducono le persone a zombi, si comunica con parole buttate lì, senza sentimenti, senza sostanza, tutti sembrano amici ma l’isolamento è dominante.

L’alcool buono, invece, stimola l’ingegno, stimola la creatività, le amicizie positive, la comunicazione può essere facilitata e migliora l’amore. L’alcol buono può allungare la vita e può migliorare il sesto senso, quello purtroppo perduto dall’Uomo Sapiens.

Il Presidente dell’Enoclub di Siena, quando l’ho conosciuto, mi confidò che era astemio. Astemio perché aveva sempre bevuto vini balordi, vini falsi, vini con alcol cattivo. Un giorno ebbe la possibilità di provare alcuni vini di qualità, salubri, intriganti. Da allora Davide Bonucci, ha cominciato ad amare il vino.

Quante persone sono astemie, non consumano vino, perché non hanno mai assaggiato vini nel modo giusto e consapevole e credono che il vino sia solo un liquido per andare fuori di testa?

Tanti, tanti, tanti e sono la maggioranza.

 

E’ piovuto: allegria!

In segreto, fuori da sguardi indiscreti, ho fatto la danza della pioggia verso la fine di Agosto. Le mie vitine erano stremate e solo la pioggia poteva salvarle. E la pioggia è arrivata la mattina del 31 Agosto (dalle 7 alle 10 mm 62,4) e poi il 3 Settembre (dalle 7 alle 17 mm 50,6). Il grafico la dice tutta.

Ovvia. Oggi girando per le vigne ho visto proprio una bella uva rigonfia…

 

Questo è un Post di allegria. 🙂

Un Chianti? No Grazie, un Chianti Classico!

Il dibattito tra i Soci del Consorzio Chianti Classico sta proseguendo, le considerazioni sui singoli punti sollevati dal CdA e che andremo a votare presto sono diverse, ma l’unanimità del dibattito si converge sul fatto che occorrerà d’ora in avanti cercare di affrontare la questione del vino Chianti, unica denominazione in Italia che richiama il nome di un altro territorio. Infatti nel territorio del Chianti (geograficamente chiamato Monti del Chianti) si produce solo il vino Chianti Classico Docg e non il vino Chianti.

La madre di tutte le battaglie negli anni avvenire è proprio questa esosa questione: si può cercare di innalzare la “piramide qualitativa” del vino Chianti Classico, ma rimane tra la stragrande maggioranza dei consumatori la non facile distinzione tra vino Chianti e vino Chianti Classico. In questa ottica anche il marchio Gallo Nero, ritenuto dalla maggior parte dei Soci l’unica vera distinzione visiva tra i due vini, non sembra bastare. Interessante l’opinione di chi ritiene che il marchio Gallo Nero non serve a nulla, ed anzi trascini verso il basso tutti i vini in quanto è un marchio che non garantisce la qualità mentre oggi quel che conta è l’effettiva qualità del vino e il Marchio Aziendale non la denominazione.

I marchi aziendali, il prestigio di un’azienda produttrice, secondo voi, sono più o meno importanti di una denominazione? Vale la pena investire milioni di euro in un marchio di territorio e quasi nulla per la sua effettiva difesa?