L’Assicurazione sulla grandine, dal punto di vista del vignaiolo, era un valido strumento per diminuire i rischi economici per questa calamità.
Molti anni fa la perizia era affidata a tecnici che in modo spesso generoso, riconoscevano il danno REALE, cioè la perdita di reddito, ma sopratutto la perdita di quella parte di cuore che ogni coltivatore mette nel suo lavoro.
Il 50% del costo della polizza è poi sostenuto da finanziamenti statali alle compagnie di assicurazione. Facile capire che moltissimi vignaioli e imprese vitivinicole si assicuravano.
Ma non oggi: perchè?
Perchè la maggior parte dei vignaioli non produce solo uve da vendere, ma imbottiglia una parte o tutta la produzione, il che significa che i valori delle uve riconosciuti per rifondare il danno si basano su stime mercuriali dell’uva che è molto bassa, anche se alcuni punti di percentuale sono riconosciuti come perdita di qualità, in confronto ai valori aggiunti di chi imbottiglia.
Morale della favola, non conviene stipulare l’assicurazione, perchè le perizie sono ormai diventate solo tecniche ma anche perchè si tratta di un giro di soldi tra consorzi, assicurazioni e anni di attesa per ricevere l’indennizzo. Inoltre la perdita di quantità dovrà essere, chiaramente, riportata sulle denunce di produzione.
La tentazione di non stipulare assicurazione sulla grandine potrebbe poi essere giustificata da un rimpiazzo fraudolento dell’uva o del vino comperato senza tracciatura, sicuramente molto vantaggioso poichè assicura costi ridotti per la piena produzione.
La mia proposta è semplice: Assicurazioni sulla grandine che prendino in considerazione i valori medi del vino imbottigliato dell’operatore danneggiato e non solo dell’uva.
Ma non credo che alle compagnie assicurative piaccia una simile proposta.