Commissioni di assaggio che sacrificano i territori?

Ho ricevuto una lettera dal mio amico viticoltore Antoine di Casina di Cornia, che pubblico volentieri, poichè ancora una volta il dibattito sul ruolo delle commissioni di assaggio è davvero spinoso. Le commissioni di assaggio sono istituzioni formate da varie persone che giudicano i vini dal punto di vista organolettico per l’ottenimento della Docg Chianti Classico.

E’ noto che spesso i vini “tecnici” passano da queste commissioni con più facilità dei vini di “territorio” in quanto questi ultimi risentano profondamente della mano del produttore, ma anche di alcune specificità che ne esaltano certe caratteristiche, ma che generalmente non sono apprezzate dai tecnici.

Credo profondamente che occorrerà sottolineare sempre più la provenienza del territorio, piuttosto che legarsi su rigidità degustative, ma il dibattito è aperto.

Buongiorno a tutti,
ho deciso di scrivere sia per esperienza personale ma anche perché intuisco che il problema delle degustazione di idoneità creino problemi se non a tutti probabilmente a tanti. Se per anni non era un problema da quando sono entrate in vigore le commissioni attuale mandare un vino all’idoneità somiglia molto alla ruota della fortuna!
Per lo meno per me, anche se l’enologo mi dice che il vino è a posto mi è successo più volte di avere delle rivedibilità con commenti che non hanno senso nemmeno per l’enologo. Oltre a questo so di vini bocciati che poi sono finiti con punteggi sopra i 90 su riviste internazionali.
 
Non credo che si potrà far capire a Valoritalia che la degustazione di idoneità non è una degustazione tecnica, e che un leggera ossidazione o riduzione o brett possono essere un fattore di piacere gustativo nella complessità di un vino. Oltre a questo ci sono interessi IMMENSI di stupidi soldi…..
Credo che far uscire il dibattito in modo pubblico, esprimere la nostra insoddisfazione insieme possa essere utile. Anche sul piano psicologico, il fatto di avere un vino rivedibile o bocciato è vissuto come una vergogna e si tende a non parlarne, anche se si è convinti che il vino è buono e, che c’è lo dice il mercato oltre che i propri tecnici.

Ecco o motivi che mi spingono a scrivere per capire come la pensate e capire anche come ci si potrebbe raggruppare per agire insieme costruttivamente. Se avete idee o se volete mandare questo mail a vostri amici non ho problemi, ho scritto a chi avevo in rubrica.

Mi sono informato da amici francesi, da quelli di Saint Chinian ho avuto la risposta che vi metto in allegato con una mia traduzione e un riassunto. E un sistema estremamente semplice, sono convinto che potrebbe funzionare anche qui, e sono convinto che il miglior giudice sia il mercato e non le commissioni, ma quelle sono le mie idee, e mi piacerebbe potermi confrontare con voi. Aggiungo che non sono completamente ingenuo, e che so che non si potrà cambiare le regole cosi facilmente, ma sono malgrado tutto convinto che un dibattito pubblico, aperto e trasparente sul soggetto possa solo portare vantaggi per noi, so che di fronte ci sono interessi che faranno di tutto per impedire un cambiamento, ma sono convinto che la situazione attuale non soddisfa tanti produttori piccoli come grandi, per cui non è un problema di nicchia.
Cordiali saluti 

(Segue la risposta dei viticoltori di Saint Chinian)

La vocazione di un territorio

Vocazione. Questo vocabolo non solo si usa nell’ambito religioso, ma può essere validamente usato per definire alcuni dei territori vitivinicoli italiani.

Vocazione al vino di un territorio significa un luogo dove da migliaia di anni la vitis vinifera ha vissuto e vive, presidiando una ecologia che la comprende da migliaia di anni. Significa che i microorganismi, i funghi, i batteri, gli insetti, e tutti gli esseri viventi hanno e continuano ad interagire tra loro e la vite. Significa che il vino prodotto in tali zone può essere prodotto spontaneamente. Significa che la vite interagisce in simbiosi con la vita essendo essa stessa vita. Significa salubrità.

Quando si parla di territori vocati al vino si racconta dunque la bellezza delle differenze, le caratteristiche, le peculiarità ambientali che la vite col suo frutto apporta nel vino e si lega con la locale cultura, le tradizioni, i paesaggi, i cibi e la cucina.

Per questo è importante iniziare la zonazione di un territorio come il Chianti Classico: un territorio vocato.

A me pare che nel mondo ci siano tanti vigneti dove la vite non è mai esistita fino a pochi decenni fa e che certo lì i vini spontanei e salubri difficilmente si possono fare. Forse si possono fare vini tecnici, quelli si. Come si può pensare di impiantare vigne ovunque pensando che sia profittevole ovunque? Ci vorrebbe dunque, secondo me, una certa cautela sopratutto nei luoghi e nei Paesi dove la vite non è mai vissuta.

Gregory Dal Piaz, conosciuto wine writer americano, proprio oggi mi ha detto che in Napa Valley col caldo incredibile di oltre 40 gradi centigradi degli ultimi anni (vedi cambiamenti climatici) raramente si producono vini accettabili: tutti a 16 gradi.

 

Le annate nel Chianti Classico: non confondiamo le zone!

Torno dal primo giorno di Chianticlassico Colletion, presso la fascinosa Stazione Leopolda a Firenze e penso come “gliè tutto sbagliato gliè tutto da rifare” (no, non tutto, dai!).

Il primo giorno è dedicato ai giornalisti che hanno una sala bellissima dove, basandosi sul catalogo del Consorzio, scelgono i vini per annata e categoria per poi dare i giudizi sulle annate in generale e sui singoli vini dell’intera denominazione. A volte non vorrei essere nei loro panni: spesso assaggiano oltre 200 vini!

Ma questi vini hanno talmente così grandi differenze qualitative tra territori che dare giudizi generali su un annata è fuorviante. Nel Chianti Classico le variabilità per produttori e per ambiente sono molto forti nelle singole annate: per esempio i vini di Castelnuovo Berardenga non si possono paragonare con i vini di Radda, i vini di Radda non si possono paragonare ai vini di Gaiole, ecc… In buona sostanza le condizioni climatiche e orografiche, condizionano così tanto i vini all’interno della Denominazione che non è giusto generalizzare.

E’ quindi necessario restringere i giudizi sulle annate e sui produttori per singoli territori, almeno iniziando dai Comuni amministrativi (Radda in Chianti, Gaiole in Chianti, Castellina in Chianti, Castelnuovo Berardenga, Poggobonsi, Barberino Val D’Elsa, San Casciano, Greve in Chianti).

Ritengo che una suddivisione delle annate e delle tipologie dei vini per Comune sia importante per descrivere e comunicare al meglio le qualità, ormai diffusamente certe nel Chianti Classico. Il catalogo del Consorzio vino Chianti Classico al momento non offre questa possibilità.

La qualità non esiste nel vino

Appena tornato da Terre di Toscana, mi sono domandato cosa vuol dire qualità. Tutti i produttori ne parlano, ma secondo me qualità significa sopratutto salubrità e mancanza di difetti evidenti nel vino. Il resto son tutte storie, e l’importante è che ognuno orgogliosamente rivendichi la propria identità. Oggi occorre fare gruppo, non è possibile pensare di andare in ordine sparso per vendere, e le differenze notevoli tra i vini, le interpretazioni, i territori sono risorse fondamentali. Quando un’azienda produce vini rotondi, speziati, setosi al palato, usa vitigni internazionali, ecc. vale quanto un’altra azienda produce vini ignoranti, provocatori, con acidità elevate, rustici, ecc. . La capacità di comunicare il “gruppo produttori italia”, o Toscana, insomma gruppi di produttori organizzati, vale più che l’impegno a volte abnorme di una comunicazione di una singola azienda.

Abolite le Zone Svantaggiate

Le zone svantaggiatre, in agricoltura sono quelle caratterizzate da disparità strutturali e naturali.

I nostri nonni conoscevano bene la differenza tra queste zone e le zone agricole “privilegiate”, poichè per esempio le famiglie che lavoravano a mezzadria nei poderi svantaggiati stentavano, mentre nei poderi normali le famiglie potevano vivere dignitosamente. Ad oggi, poco è cambiato.

La pratica è evidente: chi cerca di produrre cibo in zone difficili, sassose o impervie, o declive o in situazioni di isolamento, quelle montagnose, quelle collinari esposte male, quelle insomma dove il costo di produzione di qualsiasi prodotto agricolo è alto, dove la produttività dell’ambiente è notevolmente inferiore alla media (magari il paesaggio bellissimo, ma viverci e lavorarci è dura..) è penalizzato. Queste zone che spesso hanno svantaggi specifici, e l’agricoltura è il solo mezzo per assicurare la conservazione dell’ambientre naturale, tutto questo non è più tutelato.

Oggi, con le recenti leggi, è stato abolito il riconoscimento di tali differenze.

AMEN, ma ricordiamoci tutti le conseguenze negative che potrebbe comportare questa decisione.

Unità nel territorio

Credo che non ci sia scampo: se i piccoli produttori vogliono andare avanti devono unirsi nei territori per proporre, appunto, i vini di territorio. Solo andando verso proposte unitarie, che possono identificare facilmente il territorio nelle sue sfaccettature dei vari produttori, grandi o piccoli che siano ma con azioni comuni, come la partecipazione in stand collettivi al Vinitaly o altre manifestazioni del genere, ci può essere quel valore aggiunto e interesse. Procedere in ordine sparso è dispendioso e dispersivo.

Ad esempio. immaginiamo al Vinitaly 2012 uno Stand dove ci sono solo i vini dei produttori di Radda in Chianti (il Consorzio Chianti Classico pare che non lo può fare), pensate che non abbia successo? Inoltre i costi per la partecipazione sarebbero sicuramente inferiori e molto concorrenziali, mi dispiace dirlo, in confronto allo stand del Consorzio…

Assaggiare i vini di Radda, o non so, di Lamole, di san Casciano o di Greve in Chianti, non sarebbe più interessante? Io penso di si.