Gesù è morto: che significa qualità?

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Cosa significa qualità?

E’ inutile che mi vengano a dire che qualità nei vini, o nel cibo in generale, significa più speziatura, oppure più finezza, oppure varie cazzate, oppure Gesù morto, oppure quelle ragioni commerciali che fanno la differenza a scapito della salubrità.

La salubrità di un vino, del cibo, che spesso è espressione di un territorio con tradizioni millenarie in Italia se ben interpretate, di cultura,  espressioni locali sane, magari semplici, significa per me e spero non solo, espressione di un modo di vedere la vita e il mondo che contrasta con le culture dominanti. Culture dominanti dove il farmaco, il fitofarmaco di sintesi, protocolli applicati ad ogni situazione risolvono le sintomatologie, temporaneamente, ma che alla lunga creano contraddizioni in termini di difesa immunitaria, per tutti.

La difesa immunitaria è la base di qualsiasi organismo vivente. Difesa immunitaria significa che lo stile di vita, la felicità del momento, la reazione, magari dettata  da condizioni ambientali estreme, è alla base di ogni organismo vivente nella difesa dello sforzo comune della vita di preservarsi.

Difesa immunitaria, che significa nel nostro tempo lotta al deficit immunitario  derivante da abusi di farmaci o fitofarmaci (nel mio caso specifico come produttore di vino), oppure da condizioni igieniche precarie o stili divisa estremi, oppure da stress psicologici derivanti dai modelli sociali, sono la base della comprensione della “psicologica” della vita.

Se il business farmacologico (fitofarmologico nel mio caso specifico come produttore di vino) può migliorare da un lato alcune situazioni difficili, può peggiorare le situazioni della vita quando l’uso indiscriminato risulta eccessivo per l’ambiente in cui la vita vive.

L’immunodepressione è la malattia del nostro tempo. L’immunodepressione si può combattere solo con culture sgombre da TROPPI interessi economici che spesso dettano leggi proprie, ma svincolate dal bene collettivo.

Amen.

 

 

vino -cibo o da -meditazione ?

Foto di Paolo Rinaldi
Foto di Paolo Rinaldi

Qualche giorno fa ho incontrato ad un evento presso l’enoteca Da David in via G. Carducci 37 a Pistoia un distinto anzianotto signore che, vicino a me in situazione conviviale, ci siamo scambiati pareri finanche accesi.
La questione riguardava come intendere l’atto del bere vino.
Io sono sempre stato convinto che il vino, soprattutto in Italia, è un complemento al cibo che regala attimi di gioia in quel contesto. La bellezza dell’Italia è proprio questa: ogni luogo ha la sua cucina, le sue pietanze connesse con il vino del posto, magari orribile in una degustazione alla cieca, ma se vissuto in quel momento con quella particolare pietanza è e sarà unico e fantastico. Dunque un’espressione culturale, ambientale e tradizionale con la salubrità del vino che dipende anche dal consumo contestuale ai pasti.
Lui, anzianotto, convinto che il vino migliore deve essere bevuto in fase di meditazione, magari in conversazione con gli amici, ma senza alcuna connessione col cibo, poiché il cibo farebbe buono qualsiasi vino, soprattutto dopo un paio di bicchieri. Amante dei vini di Borgogna ha citato etichette e vini a me naturalmente sconosciuti, che sono grandi per questo motivo.
E’ scoppiata una piccola discussione, risolta dopo qualche bicchiere di Caparsino, che ancora mi fa pensare.
A chi la ragione?

La felicità di fare il vino

dsc_0041-2Ci sono tanti modi di fare il vino: chi ricorre ai consigli dell’enologo, chi si affida alle tradizioni, chi ci mette solo l’impegno, chi opera in solitario, chi si affida all’esperienza, chi agli studi, chi lo fa per affari. Ma alla base di tutto è la passione, che va al di là dei responsi delle guide, del business o dei risultati economici.
Alcuni si limitano a comprare uva per fare il vino, altri affittano un filare per fare il vino, altri costruiscono vigne per fare il vino, altri comprano le vigne per fare il vino, molti fanno il vino come secondo lavoro.
Ma perché, qual’è il motivo per cui molti si fanno il mazzo per fare il vino? (In Italia pare che 400.000 siano i produttori)
E’ questo forse un dono della natura che stimola la ricerca della felicità?
In effetti penso che sia più gratificante fare il vino che giudicarlo. Il giudizio è spesso infatti condizionato dalla ricerca di un profitto, mentre produrlo tra mille difficoltà e magari consumarlo solo tra amici offre gioia autentica.
Spero tanto che in Italia il numero dei produttori aumenti e non accada il contrario.

“Chiuderemo le aziende!”

Registro_telematico_convegno

Risposta secca alla mia domanda “Che succede se le piccole aziende vitivinicole non riescono ad adeguarsi all’obbligo della tenuta del registro telematico nei termini?” (Ndr. 30 Dicembre 2016). Allorché mi sono alzato e uscito, senza parole, dall’Auditorium della Banca Chianti a San Casciano Val di Pesa, dove stamattina il Consorzio Chianti Classico ha organizzato un convegno con i funzionari del Ministero Agricoltura e della Repressioni Frodi.

Superfluo aggiungere altro. Ma mi dispiace davvero tanto per le piccole realtà virtuose, oggi, sparse in Italia, a meno che…

Vino e finanza: boh!

Ho letto un interessante articolo apparso su Repubblica  sulle scommesse finanziarie sul vino (non so perchè ma quando si parla di scommesse mi viene in mente sempre il gioco del poker, dove si vince ma sopratutto si perde).

Per dire la verità non sono un esperto, anzi probabilmente non ho capito molto, ma forse la sostanza è questa:

C’è una corrente di pensiero nel mondo finanziario che comincia a scommettere nelle quotazioni dei fondi di investimento nel vino, come gli impianti e le reti di vendita, completamente staccata dalla produzione e dalle vigne. Si pensa in pratica che si può fare soldi con le azioni che investono in questo tipo di attività.

Nello stesso articolo si sottolinea come i nostri produttori siano agli antipodi rispetto ai produttori americani, sud africani o cinesi: siamo tanti, piccoli, legati alla vigna, alla terra, seguiamo logiche di rendita poco moderne e immobilizziamo grossi capitali.

E’ come dire che molti di noi produttori italiani non sappiamo fare finanza per cui, in parole povere, siamo “troppo contadini”, e i contadini è risaputo tendono a conservare, come le formiche non come le cicale.

A mio parere ci si dimentica però che “finanza” è spesso sinonimo di speculazione o di ricchezze che si basano sulla carta, tanta carta riservata a pochi completamente slegata dalle vere realtà produttive: è spesso un cancro del mondo contemporaneo.

Dunque, a mio avviso la fortuna del vino italiano può dipendere proprio dal fatto che siamo diversi da tutto il mondo: conserviamo ancora (non so per quanto) il senso della terra, del buon vino e del buon cibo. Che qualcuno ne renda merito.

A ognuno il suo giornalista: come scegliere

L’affollamento di giornalisti, comunicatori, nel mondo del vino e delle guide in questo ultimo periodo stà causando seri problemi. vedi gli occhi dei produttori sempre più in pena.

Ogni produttore si merita il suo giornalista di riferimento ed ogni giornalista, ma anche blogger, tenta di ritaglarsi uno spazio tra le numerosissime aziende produttrici di vino. E, in parole povere, siccome ormai tutti producono vini corretti è naturale che si promuove ciò che poi alla fine è di tornaconto.

Tra i produttori, scegliere e inviare campioni tra le guide di Veronelli, Espresso, Vini Buoni D’Italia, Daniele Cernilli, Luca Maroni, Pierpaolo Rastelli, Gambero Rosso, Slow Food, (solo per citarne alcune) e poi tutte le riviste italiane e estere, Decanter, Wine Spectator, Falstaff, Gilbert&Gaillard (solo per citarne alcune), senza parlare poi delle guide online dove numerosi giornalisti pubblicano classifiche o giudizi sui vini (Carlo Macchi, Luciano Pignataro, Ziliani e numerosi altri) sta letteralmente disorientando i produttori di vino (o per lo meno io).

Alcuni anni fa proposi la la realizzazione di una pubblicazione col nome “Guida ai Giornalisti dei Vini D’Italia”, con tanto di premi… e a tutt’oggi ricevo richieste di questa guida…

Oggi ancor più di ieri i produttori disorientati sono numerosissimi. Come districarsi in questo mondo di matti? Con la Guida ai Giornalisti dei Vini D’Italia. Chi si offre per la realizzazione di questa guida innovativa?

Ok per lo spesometro, ma non fateci fare i poliziotti!

lo spesometro è uno strumento delle Agenzie delle Entrate per controllare scostamenti del 20% tra reddito dichiarato e spese effettuate. Raccoglie le entrate di tutte le fatture emesse dai soggetto Iva con contabilità trimestrale. Anche i piccoli agricoltori rientrano da oggi.

Perfetto. ma…

Noi piccoli agricoltori, per lo più ditte individuali, abbiamo per legge un reddito che si basa sul reddito agricolo, per cui un agricoltore può avere un reddito ad esempio di 3000 euro, che deriva dai redditi catastali, ma può ad esempio spendere o incassare 200.000 euro: in sostanza le entrate vengono registrate, ma non rientrano nel calcolo del reddito. Il grande vantaggio per lo Stato nelle contabilità forfettaria della maggior parte dei piccoli agricoltori è quella che non si può detrarre l’iva dei beni acquistati da quelli venduti, per cui lo Stato incassa, sempre, circa l’11 % di Iva su tutto il venduto, senza dunque possibilità di detrarre l’Iva. E’ un procedimento conveniente per lo Stato che si assicura sempre entrate di Iva, ma è anche conveniente per i piccoli agricoltori perchè semplifica la burocrazia, e si sà come la burocrazia incide sulle attività agricole (e non solo)!. Inoltre per i piccoli agricoltori separare la contabilità aziendale da quella familiare sarebbe impresa ardua, proprio per le caratteristiche intrinseche dell’agricoltura. Dunque lo scostamento del 20% tra reddito e spese affettuate è la regola in questa categoria. Evvabbè saranno loro a dimostrare le eventuali incongruenze…

Ora però, non si capisce bene perchè sulle fatture che emettiamo ai clienti esteri privati che comprano, nel mio caso il vino, occorre indicare data di nascita, comune di nascita e stato estero del domicilio! Faccio presente che noi piccoli agricoltori in regime forfettario non abbiamo l’obbligo di emettere scontrini fiscali in vendita diretta, abbiamo solo l’obbligo di annotazione dei corrispettivi nei registri contabili. Quindi i clienti che vogliono spedire i vini tramite corrieri espresso  possono richiedere la fattura per la tracciabilità documentale o semplicemente per trasportare i vini. Però alla domanda: “mi serve la data di nascita, residenza, indirizzo…” mi guardano con due occhi grandi così e mi interrompono indignati: “MA IN ITALIA SIETE PAZZI?…”

In effetti perchè dobbiamo fare i poliziotti per l’Agenzia delle Entrate, oltre che fare agricoltura? Grande è l’interrogativo e grandi sono i misteri della burocrazia Italiana…

Il bio- è a un buon punto!

Sto constatando come il bio-, l’idea sana della produzione alimentare bio- (-logica o -dinamica), sia ormai una realtà affermata sopratutto nel mondo del vino italiano.

E’ una grande sodddisfazione vedere come ormai il percorso verso logiche in cui la qualità si confonde con la salubrità nelle metodologie rispettose verso l’ambiente sia innegabilmente ad un buon punto. Ormai anche grandi aziende che conducono centinaia di ettari si sono infilate in questa logica; è bello e sano, e se qualcuno vede invaso un campo che si presume esclusivo per appartenenza politica o economica, si sbaglia di grosso.

L’obbiettivo di base delle produzioni bio- sono infatti quelle di diffondere una cultura di produzione e di consumo differente rispetto a quello che normalmente ci viene proposto: la quantità indiscriminata e il consumo fino a se stesso che finisce per creare una economia insostenibile.

E’ interessante osservare anche come ognuno percorre il percorso a modo suo, ma l’importante è IL PERCORSO, che sicuramente non si fermerà mai e conoscerà sempre nuovi aspetti.

Uno degli aspetti più rilevanti nel mondo del vino, affascinante, è il territorio. In Italia ormai si apprezza sempre meno (quasi!) uno stile di vino uniforme, di genere, come invece spesso avviene in molti Paesi del Mondo. Si comincia ad apprezzare i vini come espressione dei suoli, dei climi, dei produttori, delle metodologie agronomiche ed enologiche. Tutto questo aiuta molto l’idea Bio- poichè solo i vini di territorio godono della qualità e della sostenibilità nel territorio: è un circolo virtuoso.

 

La mano del vignaiolo

La mano dell’artigiano vignaiolo non è quella che fa tutto. La mano del vignaiolo è quella che con esperienza riesce a comunicare agli altri operai, il valore del lavoro manuale. Negli ultimi 20 anni il lavoro manuale è stato sacrificato in nome di un non meglio precisato prestigio del “colletto bianco”. Ci siamo riempiti di burocrazia pur di far contenti una classe sociale che vedeva nel lavoro di banca o di ufficio un lavoro gratificante. Molti extracomunitari hanno così trovato spazio in lavori manuali, detti minori, come nei vigneti. Oggi la mano del vignaiolo deve guidare questi operai, nella sperasnza che sempre più gli operai italiani riscoprono il valore della mano, nel vigneto italia.