La mano del vignaiolo

La mano dell’artigiano vignaiolo non è quella che fa tutto. La mano del vignaiolo è quella che con esperienza riesce a comunicare agli altri operai, il valore del lavoro manuale. Negli ultimi 20 anni il lavoro manuale è stato sacrificato in nome di un non meglio precisato prestigio del “colletto bianco”. Ci siamo riempiti di burocrazia pur di far contenti una classe sociale che vedeva nel lavoro di banca o di ufficio un lavoro gratificante. Molti extracomunitari hanno così trovato spazio in lavori manuali, detti minori, come nei vigneti. Oggi la mano del vignaiolo deve guidare questi operai, nella sperasnza che sempre più gli operai italiani riscoprono il valore della mano, nel vigneto italia.

Nuove tendenze per bere il buon vino

Non parlo dei vini commerciali, parlo di quei numerosi vini che hanno qualità superiori e che per questo motivo costano un po di più. La crisi economica, insieme a un proibizionismo sempre più accentuato anche nel nostro Paese, sta modificando lentamente le forme del consumo ma sopratutto il modo della conoscenza di questi vini.

Si stanno affermando in tutto il mondo, e anche in Italia, associazioni e Club dove una cerchia di soci e simpatizzanti si ritrovano a cena, in una azienda vinicola, o a casa di qualcuno, spesso organizzati in programmi fitti fitti per scambi di bottiglie o per degustazioni alla cieca, o per degustazioni a tema.

Nel Nord europa questi club annoverano migliaia di membri, addirittura lo Stato mette a disposizione gratuita strutture dedicate, in Italia il numero è indubbiamente ridotto, ma significativo.

Davide Bonucci, presidente dell’enoclub di Siena, rappresenta in Toscana un’avanguardia di questa tendenza. In continuo movimento tra vignaioli, cene, bottiglie di ogni genere e annata, con la sua disinteressata passione, e con una comunicazione attenta e innovativa annovera nel club centinaia di appassionati di tutta Italia. Le iniziative, fin troppo numerose, lo stanno portando verso una conoscenza così profonda di questo mondo, che tanti giornalisti del settore più blasonati gli fanno un baffo…

 

Seminario di Cernilli a Castellina in Chianti: il mio parere

Bisogna che dica due parole sul seminario di Cernilli che si è svolto, all’interno della manifestazione “Chianti Classico é” e della festa di Pentecoste a Castellina in Chianti il 12 Giugno. Ho potuto tra l’altro fare un confronto con il seminario svolto dal giornalista Gioacchino Bonsignore in collaborazione con Enoclub di Siena a Radda la settimana precedente. Entrambi si sono basati sulle differenze dei territori nell’esprerssione dei vini, nel primo caso Castellina alta e bassa, nel secondo caso con una comparazione tra i vini di altura di Radda e Lamole.

Nel caso di Radda c’è stata una partecipazione attiva dei produttori-vignaioli di quei territori con i loro interventi, che hanno raccontato storie e aneddoti che hanno vivacizzato notevolmente l’evento, sapientemente condotta in stile televisivo (anche il seminario condotto da Carlo Macchi il giorno precedente si è svolto in questi termini). Nel caso del seminario del “Guru” Cernilli c’è stata solo una descrizione didascalica e descrittiva dei vini selezionati, andando a cercare  differenze strettamente degustative. Cernilli il fattore umano nei vini non è riuscito proprio a coglierlo nella sua interezza, tutto intento a “celebrare” una indubbia capacità degustativa in funzione esaltativa delle differenze del tema. E’ vero che mediamemte nel territorio di Castellina in Chianti le aziende vinicole sono grandi, che ci sono aziende che producono, assemblano e commercializzano centinaia di migliaia se non milioni di bottiglie, ma affermare che il tecnicismo enologico, secondo me presente in alcuni vini (non faccio qui i nomi), che produce vini vellutati, speziati e morbidi fa parte di un tutt’uno con la naturalezza dei fenomeni naturali, mi sembra azzardato.

Alla mia domanda se vedeva di buon occhio la proposta della possibilità dell’introduzione delle menzioni comunali sulle etichette del vino Chianti Classico ha risposto affermativamente, e questo gli va dato atto. Ma la risposta che mi ha dato sul tecnicismo, cercando inoltre di esaltare il fatto che le “tecniche spinte” sono applicate solo da aziende straniere che commercializzano migliaia di milioni di bottiglie e addirittura quotate in borsa, mentre chi produce “solo” qualche centinaia di migliaia di bottiglie è pur sempre espressione del territorio, non mi ha convinto del tutto.

C’è qualcosa che mi sfugge

 

I dati festosi che vengono sbandierati dai mass media che l’Italia ha superato in volume l’export del vino della Francia, 20,6 milioni di Hl contro i 13,5 milioni di Hl non mi rendono contento. Infatti il dato occorre compararlo con il valore del vino e la Francia ci batte di gran lunga (Italia 3,9 miliardi di euro, Francia 6,3 miliardi di euro). Questo vuol dire che mediamente la Francia vende il proprio vino a circa 3,20 euro il litro, mentre l’Italia vende a euro 2,14 il litro, se non ho sbagliato.

Ora capisco perchè i nostri industriali del vino pretendono di pagare il nostro vino (io mi riferisco al Chianti Classico) tre volte meno dei costi di produzione: non gli riesce a venderlo, e per venderlo lo devono vendere sottocosto. Ma che razza di futuro c’è per il vino Italiano? Quello di strozzare i produttori.

 

Tempo al tempo

 

Il tempo, il trascorrere delle ore, dei giorni e degli anni, è il senso di questo mondo abitato da esseri viventi.

Io e le mie viti, i miei vini, ma anche i tanti amici produttori sono tutti alle prese con questa dimensione. Spesso è’ importante essere veloci in tante operazioni, altre volte è importante saper aspettare e pazientare. Solitamente chi è giovane tende a velocizzare mentre a una certa età si tende a rallentare. Per esempio dopo una grandinata le viti giovani, rigogliose e precoci, si fanno stracciare le foglie, mentre le viti vecchie, meno vigorose e ritardatarie e con i loro tralcetti corti non si fanno fregare: la stessa grandinata non fa effetto.

Comunque è lui, il tempo, che decide tutto.