La vocazione di un territorio

Vocazione. Questo vocabolo non solo si usa nell’ambito religioso, ma può essere validamente usato per definire alcuni dei territori vitivinicoli italiani.

Vocazione al vino di un territorio significa un luogo dove da migliaia di anni la vitis vinifera ha vissuto e vive, presidiando una ecologia che la comprende da migliaia di anni. Significa che i microorganismi, i funghi, i batteri, gli insetti, e tutti gli esseri viventi hanno e continuano ad interagire tra loro e la vite. Significa che il vino prodotto in tali zone può essere prodotto spontaneamente. Significa che la vite interagisce in simbiosi con la vita essendo essa stessa vita. Significa salubrità.

Quando si parla di territori vocati al vino si racconta dunque la bellezza delle differenze, le caratteristiche, le peculiarità ambientali che la vite col suo frutto apporta nel vino e si lega con la locale cultura, le tradizioni, i paesaggi, i cibi e la cucina.

Per questo è importante iniziare la zonazione di un territorio come il Chianti Classico: un territorio vocato.

A me pare che nel mondo ci siano tanti vigneti dove la vite non è mai esistita fino a pochi decenni fa e che certo lì i vini spontanei e salubri difficilmente si possono fare. Forse si possono fare vini tecnici, quelli si. Come si può pensare di impiantare vigne ovunque pensando che sia profittevole ovunque? Ci vorrebbe dunque, secondo me, una certa cautela sopratutto nei luoghi e nei Paesi dove la vite non è mai vissuta.

Gregory Dal Piaz, conosciuto wine writer americano, proprio oggi mi ha detto che in Napa Valley col caldo incredibile di oltre 40 gradi centigradi degli ultimi anni (vedi cambiamenti climatici) raramente si producono vini accettabili: tutti a 16 gradi.

 

La zonazione accantonata nel Chianti Classico

Oggi si è svolta l’Assemblea del Consorzio Chianti Classico per l’elezione del nuovo Consiglio di Amministrazione.

Purtroppo devo registrare il congelamento della proposta di molti Soci, ma anche di una grande fetta di appassionati, di iniziare un percorso di zonazione all’interno della zona di produzione del vino Chianti Classico con le Menzioni Comunali.

E’ noto come in una grande denominazione come il Chianti Classico esistano centinaia di punti di vista e centinaia di esigenze diverse. Così che, nonostante il vento favorevole per questo tipo di iniziativa, all’interno del vecchio Consiglio non si sia potuto trovare alcun punto di accordo. La squadra non è riuscita a giocare con spirito collettivo, ma anzi l’individualità ha avuto il sopravvento. Nessuna decisione è stata presa.

O forse nessuna decisione sarà presa. La Gran Selezione assorbe le risorse finanziarie e l’impegno delle recenti attività del Consorzio. Le Menzioni Comunali sono l’ultima delle questioni che si vuole affrontare senza unanimità.

A me dispiace, ma la maggioranza contina a decidere di non decidere. Amen: ma si perde una opportunità e il tempo giusto che la Storia ci ha offerto.

Il vino di stagione

Per mangiare e vivere bene occorre  consumare il cibo di stagione. Ogni stagione, ogni annata, segna con le influenze climatiche e non solo, gli indirizzi che favoriscono più un determinato cibo che un’altro.
Il compito dell’uomo, del contadino, è (o è stato!) proprio quello di riuscire a cercar di prendere il meglio dell’annata per assecondare ciò che l’annata esprime.
Anche il vino non è immune da questa caratteristica: ogni anno la vite reagendo diversamente, porta il vignaiolo ad assecondare le differenze. Dunque il vignaiolo difficilmente riesce a standardizzare la quantità e il numero delle bottiglie prodotte (a meno che non ricorra al mercato), oppure la qualità, oppure è costretto a saltare alcune annate, oppure produce vini che si riesce a fare solo in determinate condizioni e annate. In poche parole le produzioni sono scostanti.
Purtroppo mi rendo conto che tutto questo fa fatica ad essere compreso, sopratutto in Italia. I mercati vogliono il solito numero di bottiglie, la solita qualità e sopratutto lo stesso prezzo. Insomma non si riconoscono i tempi e i modi della Natura. Mi dicono in proposito che in Francia usualmente cambia il prezzo secondo le differenze, mentre in Italia questo non è tollerato. Forse perchè si riconosce lì il valore del vino artigianale rispetto a quello industriale e quì no? Non saprei, ma probabilmente è perchè pochi sanno spiegare tutto questo.
Per quanto mi riguarda, l’annata 2014 l’ho interpretata producendo 500 litri di Sangiovese con metodo Champenoise (uscita prevista 2017/18) e producendo 5000 litri di Rosato, produzioni che non credo riuscirò a ripetere facilmente. Oppure l’annata 2010, quando a causa della peronospora larvata ho perso il 75% di produzione riuscendo però a produrre un Chianti Classico Caparsino Riserva eccellente

Vino e finanza: boh!

Ho letto un interessante articolo apparso su Repubblica  sulle scommesse finanziarie sul vino (non so perchè ma quando si parla di scommesse mi viene in mente sempre il gioco del poker, dove si vince ma sopratutto si perde).

Per dire la verità non sono un esperto, anzi probabilmente non ho capito molto, ma forse la sostanza è questa:

C’è una corrente di pensiero nel mondo finanziario che comincia a scommettere nelle quotazioni dei fondi di investimento nel vino, come gli impianti e le reti di vendita, completamente staccata dalla produzione e dalle vigne. Si pensa in pratica che si può fare soldi con le azioni che investono in questo tipo di attività.

Nello stesso articolo si sottolinea come i nostri produttori siano agli antipodi rispetto ai produttori americani, sud africani o cinesi: siamo tanti, piccoli, legati alla vigna, alla terra, seguiamo logiche di rendita poco moderne e immobilizziamo grossi capitali.

E’ come dire che molti di noi produttori italiani non sappiamo fare finanza per cui, in parole povere, siamo “troppo contadini”, e i contadini è risaputo tendono a conservare, come le formiche non come le cicale.

A mio parere ci si dimentica però che “finanza” è spesso sinonimo di speculazione o di ricchezze che si basano sulla carta, tanta carta riservata a pochi completamente slegata dalle vere realtà produttive: è spesso un cancro del mondo contemporaneo.

Dunque, a mio avviso la fortuna del vino italiano può dipendere proprio dal fatto che siamo diversi da tutto il mondo: conserviamo ancora (non so per quanto) il senso della terra, del buon vino e del buon cibo. Che qualcuno ne renda merito.

I misteri del vino

Tutti sanno che il vino si fa con l’uva. Ma esistono due modi di fare il vino: uno tecnico, l’altro naturale.

Dopo la seconda Guerra Mondiale si producono prevalentemente vini adottando le applicazioni della scienza. Prima di quel periodo si produceva vini solo naturali e inconsapevolmente biologici.

Negli anni, le tecniche enologiche hanno prodotto vini impeccabili anche quando le annate o i vini risulta(va)no malriusciti. Oggi si può affermare tranquillamente che i vini “tecnici” passano agevolmente le commissioni d’assaggio Docg. D’altra parte questi vini sono la maggior parte dei vini venduti, dove quasi sempre è solo il prezzo che fa la differenza nel mercato globale e così competitivo.

I vini prodotti nei luoghi “vocati”, e per vocati voglio precisare territori dove il vino da sempre è stato un alimento indispensabile, complementare, necessario per la sopravvivenza delle popolazioni che coltiva(va) la vite, capace di prosperare in condizioni difficili e quindi relativamente facile da coltivare, sono quelli che in tanti modi si scontrano con i vini tecnici. I territori vocati sono territori dove da migliaia di anni il vino viene prodotto (a Radda in Chianti la testimonianza più antica trovata è datata 2300 anni). In questi territori la natura ha sviluppato una sorta di simbiosi con la vite, insieme ai boschi, agli animali, ai funghi, ai batteri e ai microorganismi e agli uomini. Questa si chiama salubrità.

Costano un pò di più (personalmenteo nel 2010 ho perso il 75% di produzione) e si scontrano spesso con i vini tecnici nelle chiacchiere tra gli addetti ai lavori e gli appassionati  Però è importante notare come i vini naturali (bio-logici o dinamici), di territorio, se pur qualche volta imperfetti, offorno emozioni e sensazioni non omologate e a volte emozionanti. Addirittura a volte non riescono paradossalmente a superare facilmente le commissionin di assaggiop per ottenere la Docg, così tanto il palato degli esaminatori è omologato. Ma sono salubri, sono alimenti, si bevono con il cibo, non sono vini voluttuari da potersi bere ovunque dove il rischio dell’alcoolismo è dietro l’angolo.

Per questo occorrerà lavorare tanto per far emergere sempre più questi vini (di territorio vocato) e con loro i produttori che li interpretano.

Il vino senza fronzoli

Il vino è un qualcosa che va al di la della comprensione, è un mistero umano. Sentite questa:

Un vecchio contadino, il Gigli qui a Radda in Chianti, produttore di qualche quintale di vino per consumo, ma anche per la vendita, produceva vino che in alcuni anni gli veniva male. Normale, perchè chi produce vino senza tanti fronzoli, magari bio- o al risparmio, è più suscettibile delle differenze stagionali.

Insomma, per farla breve, anche quando il vino non era all’altezza, lui ci si abituava. Ci si abitua al gusto così tanto che è difficile cambiare. E lui si abituava così tanto, che se doveva andare a cena da qualcuno si portava il Suo vino, per non bere il vino degli altri e perdere l’abitudine di bere quel Suo vino, quel Suo Amore, che anche in annate difficili amava.

Una piccola storia.

Meglio un vino di territorio

Meglio un vino di territorio che un vino industriale.

Veronelli forse scriverebbe così invece di usare il termine di contadino. Particolarmente appropriato oggi, dopo il gran rumore del vino Chianti Classico venduto da LIDL a euro 3,99. Oggi come non mai occorre differenziarsi sul mercato che, ancora forse non per molto, oltre agli industriali è fatto anche da artigiani che lavorano e si spaccano la schiena nei territori e che rappresentano il presidio “vero” dell’ambiente e espressione dei territori, nel bene e nel male.

La denominazione vino Chianti Classico esce un poco imbarazzata da quanto circola in rete. Giustamente. L’attuale piramide pseudo-qualitativa dove all’apice c’è la Gran Menzione, e poi la Riserve e poi il vino base, si scontra con la realtà dove la confusione regna e che questa piramide ha accentuato. Dove dominano i colpi della potenza e unità dei grandi imbottigliatori che a volte sono anche produttori. Sono loro che attraverso le banche decidono i prezzi e il mercato della maggior parte del vino. E sono gli artigiani che spesso subiscono il mercato, grazie alla frammentazione e alla difficile visione unitaria: la voce dei vignaioloi, dei piccoli produttori rimane sempre indietro.

Quindi non demonizzo il ruolo degli industriali, anzi. Non denigriamo chi, industrialmente, offre vini a basso costo. Questi vini, frutto di vendite di vino sfuso al ribasso e da imprenditoria molto sviluppata, possono senz’altro soddisfare consumatori che cercano un minimo di qualità a prezzi bassi. Ad ognuno il proprio ruolo.

Ma occorre trasparenza nella confusione attuale dell’offerta del vino Chianti Classico. A parte la confusione tra Chianti e Chianti Classico, si può senz’altro affermare che oggi la valorizzazione dei vini passa attraverso il territorio. Visitare le cantine, conoscere i luoghi, le persone e i vignaioli è quanto di meglio il mondo del vino offre in Italia. Allo stesso tempo per la sopravvivenza dell’artigiano del vino, che produce e presidia i territori, confondersi con queste grandi realtà imprenditoriali è deprimente e drammatico. Non si può paragonare i costi di produzione e distribuzione tra chi produce poche migliaia di bottiglie e chi ne imbottiglia milioni. Quindi crea scandalo veder vendere alla distribuzione vini a prezzi così bassi che a un piccolo artigiano, appunto, viene un groppo alla gola.

Io ritengo che lo spazio ci sia per tutti. Per questo motivo è urgente e mi riferisco alla mia denominazione di riferimento Chianti Classico, ma anche in generale per altre realtà vitivinicole italiane, il riconoscimento della diversificazione visibile in etichetta tra produttore/imbottigliatore di località e semplice imbottigliatore. Dunque la differenza deve essere netta e riconoscibile al consumatore. Nel territorio del Chianti Classico questa operazione sarebbe veramente facile, cominciando con le Menzioni Comunali, embrione della zonazione, che già esiste di fatto grazie a Alessandro Masnaghetti con la sua mappa.

La differenza dei territori, la differenza nei territori, la differenza dei produttori. La differenza tra un vino di commerciante e di territorio. Questo è il futuro.

Già in Francia, in Borgiogna, tutto questo è netto: la bottiglia del “negociant” è visibilmente riconoscibile dal produttore/imbottigliatore e curiosamente spesso il negociant offre vini migliori! Sarà dunque il mercato a decidere cosa acquistare, con chiarezza. Una bellezza.

Oggi il mondo reale gira velocemente, le politiche sono sempre in ritardo; nel caso del Consorzio vino Chianti Classico le decisioni sono sempre lente. Io spero solo che i comunicatori, i giornalisti aiutino la realizzazione di questo progetto e costringano in qualche modo a far prendere velocemente decisioni in merito.

Chianticlassicocollection e Terre di Toscana

Quando si fa il vino, dalla vigna fino all’imbottigliamento di ogni anno, il tempo passa e ogni volta sembra più difficile. Un pò sarà per l’età, un pò perchè si diventa più esigenti.

E ogni anno, ogni volta, si pensa di aver fatto il miglior vino (di sempre). Per poi invece scontrarsi con la realtà delle cose. Il vino deve essere venduto, inutile fare ottimi vini o presunti ottimi vini, se non si vendono. Vendere è più importante che produrre (La Bocconi dixit)…. ma sarà poi così vero?.

Io spero di no, spero sempre che il vino sia riconosciuto non per quel che si dice, ma per quelle emozioni intime che può regalare, anche ai più inesperti. Le sensazioni, quelle più personali senza influenze, quelle che si basano sull’istinto, dovrebbero avere il sopravvento su tutto il resto. E’ difficile, lo so.

Il nuovo Chianti Classicvo Caparsino Riserva 2011 imbottigliato ieri, ad esempio, sarà in grado di stimolare a sufficienza gli istinti? sarà un capolavoro oppure riceverà molte critiche? Si saprà valorizzare?

Domande che cominceranno ad avere rispposte alla Chianticlassicocollection e a Terre di Toscana.

Piccoli pensieri di un vignaiolo

Il mondo è difficile da interpretare, ma anche il mondo del vino per chi lo vive lo è.

Questa notte non ho dormito, i pensieri correvano senza sosta nel tentativo di trovare il bandolo della matassa per lavorare con i tempi, la natura, le opzioni e le mille variabili del vino che ho in cantina. Ieri con Federico Staderini abbiamo cercato di intuire le migliori combinazioni per fare il meglio, per razionalizzare, per imbottigliare, per unire o separare. E’ incredibile quanto l’opera umana possa condizionare il vino, e come sia importante scegliere e decidere per continuare a fare questo lavoro: non posso fare quello, posso fare così, ma anche così, però se faccio così non posso ottenere questo o realizzare questo…

E allora non si dorme pensando alle soluzioni, notti insonni, il cervello gira come una trottola anche se si è stanchi, fino ad arrivare a nessuna conclusione.

Certe scelte si affideranno al “lì per lì”. Impossibile pianificare. Impossibile fermarsi, il mondo va per conto suo, noi, io, dobbiamo solo inseguire il tempo per rimanere in questa Natura che sta impazzendo (Vedi la foto della Forsythia in fiore il 14 Novembre 2014).

Come superare il concetto della qualità dell’annata

Da decenni si parla della vendemmia del secolo, oppure della vendemmia triste. Credo che superare i pregiudizi sia la sfida per il futuro.

Ogni anno racchiude un essenza esclusiva propria dell’annata. I miei ricordi: la 2002 e la 2003. Annate opposte. La prima solo due settimane di sole, poi pioggia sempre, la seconda caldo estremo e siccitoso con 42 e più gradi per due mesi e mezzo. Vini completamente differenti, ma proprio per questo, in diversi casi, unici e ottimi. Si perchè il lavoro dell’uomo PUO’ condizionare in modo vantaggioso il corso della Natura. Ho assaggiato dei 2002 ottimi, eleganti e fini, ho assaggiato 2003 vigorosi, inebrianti e tosti.

Quello che vorrei sottolineare è come la capacità dell’uomo, magari un’azienda un’anno e l’altro anno un’altra, possa condizionare in modo unico l’annata sfruttandone la peculiarità.

Le grandi annate, le piccole annate, sono concetti riduttivi modellati per un consumo veloce e superficiale, magari adatto a quella informazione scadente sempre più potente ai tempi nostri.

Quel che occorre secondo me è divulgare le specificità delle annate: come si fa a dire che è migliore un vino più esile che un vino più corposo? O roba del genere? Un vino è ottimo quando è salubre, quando ti ricordi il vino che hai bevuto, quando ti rende lucida la mente, quando ti rende positivo e elaborativo. L’annata PUO’ essere secondaria.