Tappo a vite: un tabu?

Una notizia forse passata sottotono riguarda la tappatura delle bottiglie di vino. Infatti il decreto UE del 16 Settembre 2013 modifica le norme cancellando la regola generale che prevedeva per i vini Docg solo il tappo di sughero (regolamenti 1234/2007 e 607/2009).

Sono sempre stato diffidente rispetto alle chiusure alternative al sughero, ma mi sto rendendo conto che anche il tappo a vite offre innegabili vantaggi. Meglio del tappo in silicone è certo, perchè dopo qualche anno il tappo si indurisce e non tiene “trafilando” ossigeno se in verticale o perdendo vino se in orizzontale; meglio di molti tappi di sughero che cedono il tipico sapore di “tappo” è evidente, ma anche meglio di quei tappi di sughero che alterano le qualità organolettiche dei vini senza dar sapore di “tappo” (e questi sono proprio tappi “canaglia”); meglio anche di quei tappi che, seppur buoni, si rompano a metà, sciupando la bella magia sella “stappatura”.

Proprio oggi Francesco gestore del Ristorante Albergaccio di Castellina in Chianti (a proposito: è un posto dove si mangia e si beve divinamente!), mi ha confessato che non vede l’ora che tutti i produttori si convertino al tappo a vite, anche per i vini di alto pregio. Anche il disciplinare del Chianti Clasico attualmente lo vieta. Lui è stanco di assaggiare ogni volta al tavolo per scoprire il tappo “canaglia” e si deprime quando apre la bottiglia con l’evidente sapor di tappo. Lui auspica, anche grazie alla recente normativa dell’UE, che in pochi anni anche i vini di pregio useranno questo tipo di chiusura. Servire al tavolo, senza la preoccupazione del sapor di tappo sarebbe meraviglioso!. A Francesco queste opinioni si sono oltremodo rafforzate parlando con Paolo De Marchi, il quale gli ha fatto assaggiare un vecchio vino, il Cepparello, imbottigliato per il mercato UK che pretende solo questo tipo di chiusura: è risultato fantastico, fresco e integro più dello stesso vino tappato con il sughero. Insomma un risultato sperimentale straordinario. E se poi lo dice Poalo De Marchi, è una garanzia.

Io ho fatto un vino eccellente, il 1999 Doccio a Matteo Riserva Chianti Classico (ho ancora pochissime bottiglie), che però ha avuto un’incidenza del 20% di sapor di tappo (evidente o canaglia): mi ha rovinato molti anni della mia vita e il dispiacere lo porto ancora dentro di me. Ho sempre dato la garanzia del cambio, ma non è una vita sana…

Quale produttore di vino può riportare esempi di casi simili? Tutti.

Tra l’altro anche il mondo di vinoappassionati sembra ormai non avere più preconcetti… vedi l’arrticolo su Intravino del 16 Nov 2011

Radda nel Bicchiere e zonazione

Come ogni anno, arriva l’evento nel Paese del Chianti Classico tra i più affascinanti. Radda in Chianti infatti con il suo territorio riconoscibile, unico, selvaggio, ma sopratutto grazie ai tanti piccoli produttori che si contraddistinguono per l’impegno e l’originalità del proprio vino è diventata icona del Chianti Classico e del Sangiovese.

A testimonianza del fatto che Radda in Chianti ha nel territorio il punto di forza, (ricordo l’utile cartina di Enogea di Masnaghetti dove già si intravede una zonazione delle vigne di questo territorio), quest’anno saranno presenti alcune aziende della Borgogna che già questa operazione l’hanno fatta da sempre. La Borgogna, dove i singoli filari sono coltivati maniacalmente, dove il valore fondiario di piccolissimi appezzamenti sono tra i più alti del mondo, dove i vini prodotti sono tra i più prestigiosi del Mondo; devo quindi ammettere di essere particolarmente contento che anche il mio vino Doccio a Matteo Riserva 2004 sia stato scelto per un confronto con i vini della Borgogna in una degustazione da Raoul Salama (La Revue du Vin de France). Probabilmente il territorio di Radda sarà l’apripista per una zonazione che il Consorzio Chianti Classico dovrà prima o poi cominciare.

Il programma è qui, dal 2 e 3 Giugno 2012. W Il Sangiovese, W Radda!

 

la ripetitività

Tornato dalla Stazione Leopolda per l’evento Chianti Classico Collection, dove ho trovato ottimi risultati per i miei vini presentati, mi sono chiesto quanto la ripetitività delle azioni umane siano opprimenti. Ho visto infatti molti volti conosciuti che dopo molti anni che ripetono le solite azioni esprimevano sofferenza. L’entusismo che si esprime nell’affrontare le novità sono sempre positive e trascinanti, mentre l’abitudine e la ripetitività esprimono un senso negativo. Questo accade sopratutto dopo una certa età. Partecipare per molti anni a eventi come la Chianti Classico Collection, ma sopratutto il Vinitaly, può provocare una sorta di insofferenza. Addiritura plateale tra alcuni giornalisti “costretti” a una maratona di degustazioni di oltre 230 campioni di vino alla Collection.

Come risolvere la questione? Innanzitutto credo che dare spazio ai giovani è la prima condizione, ma credo anche che il rinnovamento e la sperimentazione di nuovi modi di svolgimento degli eventi, possa restituire un po di entusiasmo in un comparto che, diciamo la verità, comincia a saper di vecchio (… oh! Mi ci metto anch’io è… ). L’esperienza della cena da Burde del lunedì, con una sorta di competizione tra alcuni vini di Montalcino e del Chianti Classico (Guelfi contro Ghibellini) può essere una delle tante idee che si potrebbe applicare per dinamizzare la presentazione dei vini nelle anteprime.

I Vini del Cuore di Slow Food

Slow Wine sono i vini del cuore di Slow Food, vale a dire vini che provengono da piccole realtà, piccoli vignaioli, dove il cuore e le storie sono la cornice, la luce, i colori della bottiglia di vino, vino differente, vino vero, vino in cui si incarnano stili di vita e pensiero.

Tutto questo sembra un miraggio, ma in effetti anche in rete, dopo la pubblicazione dei premiati del Gambero Rosso dell’Espresso e dello stesso Slow Food, i vini vinoni, i vini top, un po da tutti presi sottotono, si respira un barlume di speranza per questa nuova indicazione.

E’ vero, anche il mio “Doccio a Matteo” Riserva 2007 ha avuto questa segnalazione e quindi non dovrei dire queste cose in quanto direttamente interessato, ma chi mi conosce  sa bene come da moltissimi anni ripeto che il vino non è solo una bevanda fine a se stessa, ma cibo, materia che si esprime attraverso le persone che ci lavorano per produrlo, facilmente visibili con un giro in moto, a piedi, nei territori (e qui ricordo le cartine di Enogea del Masnaghetti, per farlo….); si, ci sono anche le grandi realtà, industrializzate, globalizzate, specializzate, ma per favore cominciamo a fare le differenze.

L’Italia possiede delle realtà di eccellenza, purtroppo spesso vanificate dalla dominanza industrializzata, specializzata e globalizzata, supportata politicamente, mediaticamente, sistematicamente. Ma il futuro dell’Italia dipenderà molto dagli insegnamenti alle nuove generazioni di chi, come formiche, lavorano, sudano e lottano quotidianamente.

 

Concorsi internazionali

I concorsi internazionali sono tanti e non servono quasi a nulla commercialmente. Ci vuole sempre qualche centinaia di euro a vino per partecipare e alla fine, se hai qualche premio, hai un diploma. Per dire la verità i diplomi mi servono per decorare una parete nel negozio di vendita diretta a Radda in Chianti, e per questo mio figlio Federico ha voluto partecipare al Concorso di Bruxelles, senza ottenere niente (Il Caparsino Ris 07 punti 81,79 e il Doccio a Matteo Riserva 2007 punti 84,40), mentre una piccola Medaglia di Bronzo l’ho avuto col vino Doccio a Matteo Riserva 2007 al Decanter World Wine Awards. Insomma, quasi un buco nell’acqua. Mi stupiscono però i dati:

Al Concorso di Bruxelles hanno partecipato 7386 vini, mantre nel DWWA hanno partecipato 12.200 vini. Se si moltiplica per circa 150 euro a vino (più le bottiglie di vino…) le cifre sono dell’ordine di un milione, un milione e mezzo di euro a concorso. Bella cifra. Mi ricorda vagamente lo stesso business delle fiere di vino, che negli ultimi anni si sono moltiplicate. La domanda sorge spontanea: chi è che guadagna di più a organizzare questi eventi?

Anteprima 2007 di Caparsa alla Collection

Ci siamo quasi. Il 15 e il 16 Febbraio presenterò la mia nuova annata con il Riserva 2007 Doccio a Matteo  e il Riserva 2007 Caparsino.

L’anteprima, chiamata “Chianti Classico Collection” sarà l’occasione per il lancio del 2007 per me molto favorevole. La speranza di ricevere giudizi positivi è forte, anche perchè a questo punto mi sentirei veramente demoralizzato per proseguire dopo trenta anni di lavoro.

Quest’anno dopo molti anni ci sarà l’occasione di riconoscere le differenze di territorio nella manifestazione, in quanto i produttori sono raggruppati in zone di produzione (riconoscibilità comunali). Sono convinto che i vini di Radda in Chianti richiameranno molta attenzione, per la loro identità, riconoscibilità, e un denominatore comune; questo piccolo territorio del Chianti Classico è molto omogeneo e ricco di piccole realtà impegnate a cercare di valorizzare non solo il proprio marchio, ma il territorio di Radda. Ormai si sta facendo largo l’idea che l’unità degli operatori nei territori, invece di procedere in ordine sparso all’interno di una grande zona di denominazione meno identitaria, sia più proficuo per tutti. La realtà dura è che il comparto vino in Toscana sta subendo una crisi così forte, che ormai si tentano tutte le strade possibili e tante decisioni arrivano e arriveranno causate da uno stato di crisi economica chiara. Purtroppo la stragrande maggioranza dei produttori non ce la fa più e a volte presi dalla frenesia di fare qualcosa di utile, si finisce per fare cose sbagliate…